Meditiamo sulla Parola – I Domenica di Quaresima

Il deserto è un’esperienza sconcertante ed esaltante.

È quel momento, è quella situazione, è quel luogo, è quel tempo, che separa l’uscire dall’Egitto dall’entrare nella Terra Promessa, nella libertà.

Il deserto è luogo ma anche tempo dell’attesa.

Questo tempo e luogo intermedi, noi li viviamo e li percorriamo anche se all’orizzonte la terra che aspettiamo, non la vediamo.

Si profila, ma non c’è ancora, lo spazio della libertà che cerchiamo.

Uscire, andare verso, attendere, sono realtà di ogni esperienza umana.

Il deserto è simbolo della nostra esistenza in cui tutti passiamo perché è il segno, il luogo e il tempo della provvisorietà umana.

Si tratta di uscire da … per andare verso … non è per stare fermi.

Quanto dura la provvisorietà?

Il deserto è esperienza che segna il farsi progressivo di noi verso una meta.

Il deserto ha la capacità di essenzializzare il nostro percorso.

È disagevole perché si impara a badare all’essenziale.

Non c’è tutto quello che vorremmo.

Non è solo il luogo della provvisorietà, ma è anche il luogo che ci fa maturare.

Nel deserto si diventa persone essenziali, si bada al sodo, si bada alle necessità fondamentali.

Cadono, si ridimensionano tutti i falsi problemi.

Il deserto oppone resistenza ad ogni esistenza facile e scontata.

È una resistenza forte alla banalità, alla superficialità.

Esso esige molta attenzione perché tutti i luoghi possono somigliare.

Là dove c’è tutto, dove ci sono tutte le comodità, noi prestiamo poca attenzione, perché già sappiamo che a portata di mano se “non c’è questo”, “c’è quell’altro”.

Il deserto non è “questo” o “quell’altro”, è solo “questo”. “Quell’altro” non c’è.

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