Meditiamo sulla Parola – XVI Domenica tempo ordinario anno C

In un contesto come quello attuale, caratterizzato da problemi drammatici, parlare di amicizia può sembrare fuori posto. I racconti, le storie, i volti narrati nella Bibbia rischiano di perdere colore e sapore.

La fede cristiana, che pure ha radice nell’ebraismo e nell’incandescenza del vangelo, sembra voler annegare nell’astrattezza e nella freddezza dei principi. La verità di cui si parla è una verità asettica.

C’è un pregiudizio che va sfatato: l’amore come l’amicizia non è una evasione intimistica.

A proposito dell’amicizia ci chiediamo: Perché Abramo in molte occasioni è presentato come amico di Dio? Dov’è il segno che esprime e motiva questa amicizia?

Alle querce di Mamre, Abramo ospita con generosità tre sconosciuti e, secondo la tradizione, chi ospita lo sconosciuto ospita Dio. Tra l’altro Abramo non sa nascondere quello che ha nel cuore. È un uomo trasparente.

Dio con Abramo non sa nascondere i suoi propositi… sta per punire Sodoma e Gomorra.

L’amico intercede, osa: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore» dice Abramo «io che sono polvere e cenere». C’è una distanza tra Creatore e creatura ma superabile.

Il nostro patriarca da buon orientale contratta sul prezzo con Dio: «Forse si trovano cinquanta giusti… quaranta… trenta… venti… forse se ne trovano dieci…». Questo mercanteggiare può essere fatto solo con l’amico. Amicizia dice sconfinamento, andare oltre i confini, oltre i limiti. È intraprendere un viaggio, non solo fisico, ma un viaggio attraverso i pensieri, i sogni, le visioni dell’altro.

La vita di Gesù non è a senso unico. I suoi rapporti non sono preconfezionati ma adattabili a ciascuna persona. Non un unico registro, non un monocolore ma una policromia, una ricchezza di colori. Percepisce la stanchezza, la fame, gli aneliti segreti della folla. Sente la delicatezza di una mano che sfiora il mantello. Al discepolo che ama consegna l’ultima confidenza. È amico dei pubblicani e dei peccatori. Chiama “amico” anche Giuda e Gesù non usa parole tanto per dire.

Le sorelle di Lazzaro gli mandano a dire: «Colui che tu ami è malato».

L’amicizia non è astratta, è piantata su questa terra, tra le nostre case, sfiora i nostri volti, segna i nostri corpi.

Gli studiosi individuano in Betania la casa dell’amicizia. Cosa succede nella casa di Betania?

La narrazione presenta un centro e una periferia. Al centro Gesù e Maria in ascolto, alla periferia Marta in una condizione servile. Marta è tutta presa dai molti servizi, Maria è seduta accoccolata ai piedi di Gesù e ascolta.

Marta si lamenta per il mancato aiuto della sorella. Gesù: «Marta tu ti agiti per molte cose ma di una cosa sola c’è bisogno e Maria ha scelto la parte migliore». È più corretto dire «la parte buona», quella che ogni discepolo deve scegliere.

Ma l’amicizia è anche ascoltarsi fin nel profondo, un ascolto che richiede spazi e tempi opportuni.

L’amico libera tutto ciò che lega, è uno capace di morire purché l’altro viva.

Forse ci sorprende ma anche Gesù ha bisogno di amicizia e di ospitalità. Questo è un aspetto poco indagato.

 

L’amicizia è particolarmente importante quando siamo in cammino; quando siamo impegnati nel cammino della vita, quando ci accingiamo a salire a Gerusalemme nonostante tutto. È nelle situazioni difficili che c’è bisogno di amicizia. Occorre amicizia, non un vago spiritualismo. Si tratta di abbandonare logiche mercantili. La logica del possesso, dalla quale siamo tutti posseduti, deve trasformarsi in logica di urbanità.

Essere ospitali è difficile, si tratta di trasformare l’estraneità in affinità.

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