Meditiamo sulla Parola – XVII Domenica tempo ordinario – anno C

Un CRISTIANO non deve mai pensare che la sua preghiera sia perfetta, ma costantemente deve ricominciare. I padri della chiesa ripetevano: chi prega non si ferma mai, ma va da inizio in inizio, secondo inizi che non finiscono mai. La preghiera nasce dalla nostra fame, dal nostro vuoto. Chi è sazio preferisce dormire.

Luca nel suo vangelo annota: «Gesù prega». Un discepolo chiede: «Signore, insegnaci a pregare, come Giovanni insegna ai suoi discepoli».

Gli ebrei sono soliti pregare in piedi e a bassa voce. Le religioni orientali danno molta importanza alla disciplina della respirazione in vista della preghiera. Nel respiro c’è la presenza dello Spirito che libera dall’interno. L’Occidente non ha sviluppato delle tecniche particolari.

Nella preghiera cristiana occorre distinguere il culto dalla preghiera personale.

Il culto è caratterizzato dalla festa, dalla gioia, dalla bellezza. È il memoriale della Pasqua, è comunicazione di speranza, è il momento propizio per scoprire il Signore che trasforma la nostra in una storia di salvezza. Purtroppo, oggi, durante la preghiera comunitaria, ciascuno assume una posizione che ritiene comoda e rilassata, quasi distaccata. Non bisogna dimenticare che la preghiera comunitaria ha le sue esigenze. I primi cristiani per sottolineare il primato della resurrezione, durante il tempo di Pasqua, pregano in piedi e prima del sorgere del sole. La comunità dei discepoli prega come Cristo per cogliere in ogni circostanza l’intenzionalità del Padre. Non è un caso che tutte le orazioni liturgiche terminano con il riferimento a Gesù Cristo.

La preghiera è Eucaristia, cioè azione di grazie, ringraziamento, domanda di perdono. Pregare è aprire, spalancare le porte a Cristo. Nel terzo vangelo sono messi a confronto due tipi di preghiera: «Due uomini salgono al tempio a pregare: un fariseo e un pubblicano».

Il fariseo è l’uomo che osserva la legge. «Stando in piedi prega: ti ringrazio non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri e neppure come questo pubblicano». La preghiera del fariseo, all’apparenza in piena regola, è una non preghiera. Al centro non c’è Dio, ma l’Io.

Il pubblicano, invece, non si vanta, non fa paragoni, si batte il petto che è la sede del cuore e chiede misericordia. Misericordia deriva dall’insieme di tre parole: miseri-cor-dare, non dare cose, ma dare il cuore al misero. Dio non gradisce l’orgoglio di chi si crede giusto.

A proposito di Marta il testo greco la definisce come colei che gira a vuoto. L’agitazione la rende una persona senza un centro. L’evangelista ricorda: la sola cosa necessaria è la PREGHIERA. Non c’è opposizione tra servizio e preghiera, tra silenzio e azione.

Con la parola «Padre» prendo coscienza di essere figlio amato.

«Sia santificato il tuo nome» cioè «fatti riconoscere quale sei». Dire che Dio è santo significa che la realtà di Dio è grande, infinita, separata. Niente di ciò che è umano può esprimerla.

«Dacci oggi il nostro pane quotidiano». Il pane, anche se guadagnato col sudore della fronte, è un dono di Dio come il sole, la luna e le stelle. Tutto è dono, tutto è grazia.

La grandezza dell’orante è nel suo amen, nel si alla vita e a questo mondo.

Non dice formule ma è una preghiera vivente.

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