
Meditiamo sulla Parola – XIX domenica tempo ordinario anno C
I primi cristiani sono disposti a soffrire ostilità, diffidenze, persecuzioni per affermare che Gesù è «l’iniziatore della fede», come scrive la lettera agli Ebrei. Questa minoranza numerica, queste piccole comunità domestiche, si presentano così in uno scritto indirizzato a Diogneto: «I cristiani non si distinguono dagli altri uomini, né per territorio, né per lingua, neppure per gli abiti che indossano. Non usano una lingua loro, risiedono nella propria patria ma come stranieri. Alla vita pubblica partecipano come cittadini leali. Ogni terra straniera è per loro patria, ogni patria è terra straniera. Si sposano come tutti gli altri. Hanno in comune la tavola. Dio ha assegnato loro una missione così decisiva che non possono disertare».
Julia Kristeva (filosofa) nel suo libro “Stranieri a noi stessi” scrive: “La vita e la cultura iniziano con il riconoscimento dello straniero”.
Stranieri significa uscire da ogni logica nazionalistica per vivere la prossimità. Questi cristiani/stranieri sono cittadini leali, dotati di uno sguardo pieno di simpatia per tutta l’umanità. C’è la consapevolezza che la loro differenza è dovuta alla fede in Gesù Cristo, o meglio alla fede di Gesù Cristo. La loro identità non si afferma mai contro gli altri e neppure senza gli altri.
Il loro operare è paragonato al lievito che fa crescere la pasta, al sale che rende sapido il cibo.
Oggi, cosa significa per noi essere cristiani? Come viviamo in una società multireligiosa e multiculturale?
Il cristianesimo oggi è presente in zone culturali differenti. Per questo si richiedono metodologie differenti e non una piatta omologazione. Non dobbiamo inseguire le nostalgie del passato. Occorre considerare che la paura è sempre una cattiva consigliera.
È significativo che il primo nome dato ai cristiani sia “credente”.
Lo specifico del cristiano è la fede, senza di essa non si può far nulla. In questo campo non è possibile vivere di rendita.
La nostra fede è accoglienza del Dio rivelato nella carne di Gesù di Nazaret. Gesù, uomo come noi, ha raccontato con la sua vita il Dio vivente.
La singolarità della fede cristiana è la umanizzazione di Dio. Purtroppo, dopo venti secoli di cristianesimo, l’affermazione “Dio si è fatto uomo” ci rimane estranea.
50 anni dopo la morte di Gesù, Giovanni afferma: «Chi non riconosce Gesù Cristo venuto nella carne non è da Dio».
La carne e il sangue di Gesù danno la vita eterna in quanto sono carne del Figlio di Dio.
Ignazio di Antiochia (II d.C): “Chiudete le orecchie di fronte a quelli che non parlano di Gesù come figlio di Maria: Gesù è veramente nato, ha mangiato, ha bevuto, ha sofferto la passione ed è morto crocifisso. Ne sono testimoni il cielo, la terra. Veramente è risorto dai morti”.
Ippolito di Roma (III secolo) afferma: “Dio è della nostra stessa pasta. Se non fosse così non si potrebbe imitare”.
La fede cristiana deve confessare oggi più che mai l’umanità: la carne di Gesù Cristo è la carne di Dio. «Nessuno può andare a Dio se non attraverso il Figlio»; solo guardando Gesù possiamo vedere il Padre. Dobbiamo saper confessare con Tertulliano che “La carne è il cardine della salvezza”.
Discernere nella carne dei fratelli la carne di Gesù, significa abbandonare ogni forma di spiritualismo astratto. Con il coraggio dei primi padri dobbiamo affermare con forza: “Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio” (Attanasio).
Il cristianesimo è la religione del corpo. Bisogna tornare al Vangelo, cogliendo il messaggio scandaloso di un Dio fatto uomo. Ecce Homo, ecco l’uomo per eccellenza: autentico, schietto, sincero che ama senza interessi e senza raggiri, perché Figlio del Dio vivente.