Meditiamo sulla Parola – XXII Domenica tempo ordinario anno C

La liturgia di questa domenica XXII per anno C chiarisce: il cristiano non sceglie l’ultimo posto per distinguersi, per sete di umiliazione, per finta modestia, ma per dire che già oggi è possibile vivere in un mondo nuovo fondato sulla gratuità.

«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

«C’è più gioia nel donare che nel ricevere».

Nella nostra società globalizzata, malata di individualismo, la gratuità è ritenuta una realtà sorpassata, residua di un tempo trascorso. L’uomo, ridotto alle sue prestazioni, è incapace di passare dall’ego sum all’ego cum: io sono con!

La gratuità, risucchiata dalla logica del denaro, perde il suo carattere originario. A ragione si dice che il denaro è un buon servo, ma un cattivo padrone.

Nel passato era difficile avere un dono/regalo perché mancava lo stretto necessario. Oggi il rito del regalo, nonostante tutto, gode di buona salute. Purtroppo, niente è spontaneo, tutto sembra una finzione.

Si tratta di una vera e propria costrizione: siamo invitati, dobbiamo invitare.

È un gioco ad incastro, uno scambio: ho dato tanto, devo avere altrettanto a cominciare dagli interessi. Il rischio è ridurre tutto a un calcolo affannoso.

È significativo: ciò che viene offerto gratuitamente non ha valore. Un gesto gratuito non apre alla meraviglia, ma al dubbio e al sospetto. Subito si va alla ricerca dell’imbroglio, del sotterfugio.

In questa situazione, è difficile comprendere quanto dice il Profeta: «O voi tutti assetati venite all’acqua, chi non ha denaro venga ugualmente, comprate e mangiate, senza denaro e senza spesa vino e latte» (Is 55,1).

Il Dio di Gesù ama fino alla fine, gratuitamente e non secondo i nostri meriti. Non si lascia imprigionare dal calcolo, rimane fedele soprattutto nei nostri momenti di infedeltà.

C’è un piccolo racconto che forse risale al tempo dei crociati:

«Una donna porta in un secchio acqua e nell’altro del fuoco. A chi ne chiede il significato, risponde: “l’acqua serve a spegnere le fiamme dell’inferno, il fuoco per bruciare il paradiso”». La morale: nessuno deve fare il bene per meritarsi il paradiso o per timore dell’inferno, ma tutto va fatto per la gioia di farlo.

Diventare dono è dare senso alla vita: «questo è il mio corpo, questo è il mio sangue dato per voi».

La chiesa senza gratuità è una realtà appesantita e più che favorire ostacola.

Giovanni XXIII parla di una chiesa segnata da rughe.

Gesù rivoluziona la mappa degli inviti: «Quando offri un pranzo o una cena non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i ricchi vicini, perché anche essi non ti invitino a loro volta e tu abbia il contraccambio. Invita i poveri perché non hanno da ricambiarti».

La gratuità è figlia della mitezza e non dell’arroganza. Rifiuta atteggiamenti spocchiosi e sprezzanti. La mancanza di gratuità comporta una voracità.

Il dono è importante perché dice sempre riferimento a un volto. Per cogliere questo volto bisogna sostare alla soglia delle cose a piedi nudi. La frenesia non consente la meraviglia e ci rende predatori. Il nostro cammino ha bisogno di sosta, di tempo, di lentezza.

Gesù vede gli uccelli del cielo e si meraviglia. Vede i gigli del campo e si meraviglia.

Occorre resistere alla fretta, alla corsa, perché impedisce il riconoscimento del dono e uccide la gratuità.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *