Meditiamo sulla Parola – XXVI Domenica tempo ordinario anno C

Diamo risonanza alla Liturgia della Parola con un’opera, un dipinto, di Safet Zec nato in Bosnia nel 1943.

È uno degli artisti più significativi del nostro tempo. La sua biografia è segnata dagli sconvolgimenti e dagli orrori della guerra. Il suo percorso artistico è fatto di immagini che raccontano il quotidiano, la dimensione feriale della vita.

Rappresenta cose comuni, le guarda da vicino per apprezzarne la diversità oltre che la loro bellezza. Sono ricorrenti tavole apparecchiate, pane, sedie, corpi, volti segnati dalla sofferenza. Mani tese fino allo spasimo chiedono un aiuto necessario per essere liberi. La concentrazione sui dettagli rende tutto il resto secondario e periferico. Adopera mezzi poveri come la carta di giornali. Le sue opere risultano incomplete, in attesa di misericordia (miseri – cor – dare).

Le figure rappresentate emergono da un fondo indistinto e tra pennellate decise. Poche note per raccontare un avvenimento complesso. Importante su tutto è l’attesa, l’attenzione. Questo richiamo all’attenzione, per associazione di idee, ci riporta allo stilita che prega stando sulla sommità di una colonna. La disattenzione, in questo caso, equivale a morte.

L’opera scelta porta il titolo “Mani per il pane”.

L’immagine appartiene all’umanità. Le mani e le braccia si tendono per cercare sussistenza. Un silenzio loquace che si trasforma in invocazione. Le mani tese aprono ferite, ma rendono capaci di empatia.

La liturgia della Parola di oggi richiama all’importanza della partecipazione. Il Dio dei nostri Padri non è un Dio lontano, ma un Dio-con, l’Emmanuele.

Le mani sono presenti in tutte le sue opere. Non a caso, vengono chiamate dagli esperti “il secondo cervello dell’uomo”.

Il pane è per tutti come Dio è per tutti. Il nostro compito è trasformare mani incolte, stanche, in una sinfonia di braccia vigorose che chiedono non pane nero, ma pane che nutre. Tutto questo è possibile se siamo convinti che un po’ di bene c’è ovunque. Anche un male abissale porta dentro di sé un bene da portare fuori. Il male non ha l’ultima parola, non ha il potere di sfigurare completamente l’uomo.

Safet è un umanista, perché esalta non un’umanità di facciata, non un uomo ad una sola dimensione, ma l’Ecce Homo di cui parla il Vangelo.

L’arte, degna di questo nome, impedisce l’indifferenza. Gesù è il cuore della chiesa, ma prima ancora, il cuore del mondo. Appartiene al mondo al di là di ogni barriera. Il mondo è una parola incompiuta che attende di essere completata. Non aprire la porta di casa, non levare le braccia al cielo per invocare pace e giustizia per gli uomini, significa essere morti.

L’uomo religioso e l’uomo ateo sono due viandanti che percorrono una via sconosciuta, ora paurosa, ora effervescente.

L’uno dice: “Non c’è dubbio questa strada conduce in città”. L’altro: “No! questa strada è senza meta”.

Due affermazioni che hanno la loro logica e che sono chiamate ad ascoltarsi reciprocamente, evitando la tentazione dell’onnipotenza e dell’intolleranza.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *