
Meditiamo sulla Parola – XXVII domenica tempo ordinario anno C
Prima del Concilio domina quella che Giovanni XXIII chiama la “Legge del bastone”.
Papa Francesco, Vescovo di Roma, propone con l’autenticità della sua vita un cristianesimo, un Dio altro. Non quello della burocrazia, delle punizioni, ma un Dio-Padre/Madre secondo l’espressione di Isaia, incline a perdonare più che a giudicare.
Tra i Padri conciliari, Il cardinale Lercaro evidenzia la necessità di una chiesa povera, di una chiesa dei poveri, coerente con il suo Maestro che non ha dove «posare il capo».
Il Nuovo Testamento attribuisce a Gesù queste parole: «Sono i violenti che si impadroniscono del Regno».
La violenza è un tema ricorrente nei Testi Sacri. La Bibbia si apre con lo scontro Caino/Abele.
Abacuc, autore della Prima Lettura di oggi, si rivolge a Dio invocando la fine dell’iniquità che imperversa: «Fino a quando Signore implorerò aiuto e non rispondi? Perché resti spettatore dell’oppressione?».
Il male, sempre presente, assume oggi un rilievo tutto particolare, perché è preclusa ogni via d’uscita. C’è una violenza passiva, silenziosa e c’è quella dei potenti che soffoca ogni forma di libertà.
La cura non va rimandata, ma va affrontata subito con molto coraggio perché si tratta di un fenomeno delicato e insieme pericoloso.
Per incoraggiare, la Bibbia presenta dei modelli, dei testimoni come il Battista.
Non è un profeta qualsiasi, è più che un profeta, è il più grande tra i nati di donna, non è una canna agitata dal vento. Non è un raffinato che veste mollemente, non abita nella dimora del re. Porta tutti i segni dell’anticonformismo. Come i grandi rivoluzionari vive nel deserto e nell’isolamento. Si veste di pelli di animali, si alimenta con estrema parsimonia ed è disarmato. Ha la passione di chi crede veramente. Le sue parole sono dure come l’acciaio. Il Battista denuncia senza mezzi termini. La sua è una denuncia sincera, generosa ed efficace. Non gli appartiene la logica, oggi in vigore, dell’io non vedo, non sento, non parlo.
Il libro di Giobbe e, in particolare, le pagine del Salterio registrano la reazione dell’uomo dinanzi al male, all’ingiustizia e soprattutto dinanzi al dolore innocente. Il problema, oltre ad eliminare il dolore, è quello di resistere senza arrendersi. Questa resistenza non può essere imposta. Si tratta di camminare senza zoppicare, cercare un Dio che non sia tappabuchi.
Oggi si cerca in tutti i modi di eliminare il dolore, ma facciamo l’esperienza che il dolore cacciato dalla porta rientra dalla finestra, attraverso le dinamiche dell’ansia.
Il Vangelo non giustifica una violenza armata e cruenta, ma è anche vero che considera la persecuzione del giusto da parte degli oppressori, una nota caratteristica della chiesa di Cristo.
Tertulliano (160 d.C): «Il sangue dei martiri è un seme che genera nuovi cristiani».
Una delle grandi benedizioni: «Beati i perseguitati per la giustizia».
La celebrazione Eucaristica ha un significato, solo se comporta la rinuncia ad ogni forma di violenza.
Gandhi parla di Satyagraha = la violenza della non violenza. Consiste nel farsi carico del male altrui nella maniera più creativa possibile. È una vera professione di fede. È una scelta che non si impone a nessuno. La pace, per il credente, non può solo essere assenza di guerra.
La giustizia non è solo osservanza della legge e la salvezza non può ridursi solo ad un benessere economico. Non salvano gli appoggi e i sostegni umani, ma la confidenza nel Signore.