Meditiamo sulla Parola – XXVIII Domenica tempo ordinario anno C

Gesù è l’uomo del dialogo, l’uomo dell’incontro. Non annuncia cose astratte, tiene sempre conto delle diverse situazioni.

L’incontro con Lui è un evento, un’occasione propizia, unica e irripetibile. Il dialogo è preceduto da un cammino di svuotamento (kenosi): il passaggio dalla forma di Dio alla forma umana.

Al pozzo di Sicar incontra la Samaritana. Sulla strada di Emmaus incontra due pellegrini. Frequenta la tavola dei peccatori per annunciare in verità la buona notizia. Tiene conto di ciò che l’altro cerca e vuole.

L’incontro è sempre una esperienza condivisa, un parlare ed un ascoltare.

Per farsi prossimo, occorre svuotarsi dei pregiudizi e rinunciare a tutto ciò che costituisce un ostacolo.

Fondamentale: Gesù non incontra i rappresentanti delle diverse categorie, ma entra in relazione con l’individuo dotato di un nome e una storia. I potenti di questo mondo rimangono estranei alla sua logica. A loro indirizza l’ammonimento: «Guai a voi!»: siete volpi, sfruttatori, falsi benefattori, siete guide cieche.

Il Signore mostra attenzione, empatia con i cosiddetti indemoniati che in molti casi sono persone afflitte da schizofrenia, epilessia, isteria.

Dalla debolezza e dalla sofferenza umana, il Figlio di Maria impara l’arte della compassione (patire con) e della misericordia.

Nei Vangeli il verbo curare ricorre 36 volte, mentre guarire ricorre 19 volte. Curare significa far emergere l’unicità della persona. Il malato desidera la guarigione, ma cerca anche e fortemente una vita piena.

Non si parla di tecniche specifiche per liberare dal male e ottenere prodigi. Al tempo di Gesù si pone uno stretto legame tra peccato e sofferenza. La malattia è intesa come castigo. Guarire una persona richiede la liberazione da ogni forma di colpa.

Curare restituisce integrità, porta vita dove c’è morte, fa conoscere la gioia a chi ne è privo. Elimina tutto ciò che rischia di attribuire a Gesù un volto perverso.

«Andate e imparate cosa vuol dire misericordia… misericordia io voglio e non sacrifici».

Il Signore non predica rassegnazione, non ha atteggiamenti fatalistici, lotta contro tutto ciò che sfigura l’uomo.

Si sente ripetere spesso: “occorre offrire a Dio la propria sofferenza”. È una espressione equivoca e rischiosa. Non la sofferenza, ma l’amore salva.

Gesù ha offerto al Padre preghiere e suppliche per essere liberato dalla morte. Come tutti gli altri si pone l’interrogativo: «Perché Signore?» Sa che il dolore è la più grande violenza.

Come il buon samaritano supera le convenzioni religiose e le precauzioni igieniche. Tocca i lebbrosi convinto che ciò che contamina è non avere umanità. Non c’è sporcizia più grande di chi non vuole sporcarsi le mani.

Il cristianesimo propone non una compassione emotiva ma una partecipazione viscerale. Passare dalla relazione alla comunione è un’arte difficile. La cura consiste nel dare al malato la parola, far emergere i suoi desideri.

Gesù non è un freddo spettatore, non sottovaluta ma accoglie la volontà del lebbroso: «Se vuoi puoi purificarmi». «Lo voglio, sii purificato».

Si apre al mistero della persona che ha davanti facendo appello alle risorse interiori.

Chi cura i malati, non è chiamato a gesti miracolosi, ma avere fede/fiducia nella vita e nell’Autore della vita.

Se è vero che la fede nasce dall’ascolto, Gesù con la sua pratica di umanità è capace di risvegliare la preghiera di ogni persona: “Ti ringrazio, sono pronto a tutto, accetto tutto”.

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