Meditiamo sulla Parola – XXXI Domenica tempo ordinario anno C

Protagonista della pagina evangelica è la semplicità, una semplicità capace di creare situazioni inaudite.

Zaccheo è un pubblicano, in greco un telònes. I testi rabbinici trattano il telònes come essere impuro, ladro e usuraio. Si sottolinea l’aspetto negativo dei telònes per portare il popolo alla conversione.

Con Gesù inizia un tempo nuovo: anche i pubblicani possono accedere al regno. Le figure più detestabili possono mutare cuore e mente. La conversione che il battesimo rappresenta non esige alcun formale mutamento di professione, perché nessun mestiere in quanto tale è impuro così come non ci sono cibi puri e cibi impuri. I farisei, i nomikòi, i dottori della legge, rifiutando il battesimo/immersione di Giovanni rendono vano il consiglio di Dio. Annullano ciò che Dio ha stabilito per la loro salvezza.

Gesù è phìlos, amico dei pubblicani. Non si oppone da nemico al peccato, ma lo converte, assumendolo in sé, su di sé, trasformandolo in sé.

La scena è di grande pregnanza, una prova generale dell’ingresso messianico a Gerusalemme.

Mentre Gesù attraversa la città di Gerico, il capo dei pubblicani cerca di vedere Gesù (il Signore ama coloro che lo cercano). Ma è piccolo di statura e la folla sembra inghiottirlo: è mikròs, è uno nella moltitudine. La folla è convinta che la sua ricchezza sia frutto di furto e di sfruttamento. Zaccheo decide allora di arrampicarsi su un sicomoro che sta lungo la strada.

Zaccheo intende difendere la propria fama agli occhi di tutti. I Padri parlano di Zaccheo giustificatus. Non annuncia ciò che sta per fare ma spiega ciò che ha fatto sempre. Non dice dabo (darò) ma dice do/rendo ai poveri. Chi è schiavo delle opinioni altrui, dei pregiudizi non vede Gesù. Per vedere bisogna superare un confuso vociare, le credenze opprimenti, le vuote superstizioni, le vane curiosità. Deve salire sull’albero e farsi alto.

Secondo il vangelo non sale su un albero qualsiasi. Il Sykosin greco significa fico che nell’antichità è la pianta cosmica per eccellenza. Nel mito, il titano Sikeus è trasformato da Gaia in fico; è l’albero della fecondità. A Roma è venerata la Dèa Rumina che significa mammella. Da qui il termine ficus ruminalis molto simile al sicomoro. Questa specie di fico in ambiente semitico è l’albero della vita.

Zaccheo sale sull’albero della vita, cioè sulla croce.

È Interessante notare il ritmo che l’evangelista dà alla narrazione: hodie, oggi, ora, subito, sono i termini chiave del nostro episodio. Zaccheo corre avanti, ha fretta, allo stesso modo scende subito. È necessario correre per potersi fermare. Gesù: «Scendi perché oggi non domani, non tra qualche tempo, ma oggi, subito, devo fermarmi da te». Ridiscende subito, si abbassa, si svuota (kenosi). Il tempo della gloria comprende il tempo dell’umiliazione.

A questo punto si verifica un grande silenzio fatto di sguardi.

Gesù può fermarsi davvero nella casa di Zaccheo? Fermarsi non significa rimanere per qualche ora, non è un ospite passeggero. Ma per accogliere il Maestro deve superare ogni impedimento.

Zaccheo deve liberarsi, deve dar via quei beni che sono impedimento. Promette il quadruplo che non era previsto dalla Legge.

Come può essere salvato chi è perduto? La salvezza non è restauro ma ri-creazione. Occorre essere re-natus. Zaccheo è perduto non perché imbroglione ma ritenuto tale. Inutilmente vuol comunicare quello che realmente è. È prigioniero dell’immagine che gli hanno appiccicato addosso. Zaccheo sembra dire a Gesù e al lettore di tutti i tempi: «non credete a quello che la folla dice».

Omen nomen: il nome Zaccheo significa innocente. La visita del Figlio dell’Uomo consente di uscire da un cerchio infernale. È impossibile cambiare reputazione soprattutto quando è falsa. Il Figlio dell’Uomo salva ciò che è perduto. Questa buona notizia è irrisoria agli occhi del mondo, eppure ha la capacità di rialzare chi è incurvato sotto il peso dello sguardo degli altri. Questa promessa che sembra illusoria consente di abitare un mondo altro. È questa parola che dà la possibilità di aprirsi alla speranza, di accogliere la potenza di risurrezione.

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