Meditiamo sulla Parola – XXXIII Domenica tempo ordinario – anno C

Siamo davanti al grande tempio rifatto da Erode, un monumento carico di storia. I discepoli invitano il Maestro a sostare, a guardare. Gesù prende le distanze rispetto a uno sguardo semplicemente estetico che è rivolto al futuro e non solo al passato.

I Padri della chiesa cercano la ragione dell’apparente inimicizia di Gesù riguardo al tempio. La trovano nel Vangelo di Giovanni, laddove si racconta la cacciata dei mercanti o la purificazione del tempio.

In occasione della Pasqua dei Giudei, nello spazio sacro, si vendono buoi, pecore, colombi. Il Maestro fa una sferza di cordicelle, caccia fuori dal tempio gli animali, sparpaglia i denari dei cambiavalute, rovescia le tavole e dice: «Portate via queste cose e non fate della casa del Padre mio una casa di mercato». «Lo zelo per la casa di mio Padre mi divora». I Giudei reagiscono: «Chi ti autorizza a fare queste cose?». Gesù: «Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo farò risorgere!». I Giudei, scandalizzati: «Come lo fai risorgere in tre giorni se per costruirlo hanno impiegato 46 anni?». Ma egli parla del tempio del suo corpo.

Gesù non ha niente contro il tempio anzi ne difende la dignità straordinaria.

La lezione che si ricava: la bellezza non riguarda le pietre, ma le persone.

Non si può mercificare ciò che giudichiamo bello. Un quadro, un paesaggio, una città diventano belli non solo per la loro materialità, ma anche per il loro riferimento alla persona.

Chi ha orecchi per ascoltare, il messaggio è chiaro: quando tuteliamo un bene culturale, oppure difendiamo un pezzo di costa dal cemento, o proviamo a rendere più vivibile una periferia, lo facciamo per i diritti degli uomini.

Oggi la chiesa corre un grosso rischio: dimenticare di essere corpo di Cristo per ridursi ad una azienda da gestire. Avverte papa Francesco: «I criteri della gestione aziendale non si applicano al corpo di Cristo». Le diverse realizzazioni artistiche sono un correttivo al consumismo globale, alla riduzione dell’uomo a merce. L’arte può essere un mezzo efficace per annunciare fino ai confini della terra la buona notizia. Gli ultimi possono avere conoscenza della storia di salvezza attraverso le raffigurazioni artistiche dei diversi episodi della Bibbia: la Bibbia dei poveri. Al centro di tutto rimane l’uomo. I poveri sono il centro del Vangelo, questo non dobbiamo mai dimenticarlo.

La dimensione fondamentale della chiesa è il silenzio non il chiacchiericcio. Un silenzio loquace che dovrebbe difenderci dal tessuto incalzante della vita. Il luogo sacro deve mettere in comunione presente e passato, cielo e terra, “già” e “non ancora”. Varcare la soglia di una chiesa significa entrare in uno spazio, un tempo altro.

Dovrebbe essere motivo di tristezza vedere una chiesa chiusa, una chiesa destinata ad altro uso. Nel ’600 i fratelli della Riforma in viaggio in Italia si stupivano che le Chiese cattoliche erano sempre aperte a tutti, credenti e non credenti.

Di solito la chiesa è considerata una proprietà privata del clero dimenticando che si tratta di un bene comune che accompagna i momenti fondamentali della nostra vita: la nascita col battesimo, la comunione, il congedo dalla vita stessa.

In Italia ci sono migliaia di chiese in vendita, destinate ad altro uso. Questo dovrebbe farci pensare. Dio continua ad abitare anche le chiese dismesse.

Dice l’Apocalisse: «Io sto davanti alla porta, se mi apri entrerò e ceneremo insieme». La via perché questo sia vero è indicata in una famosa storiella ebraica cara a Martin Buber:

«Un giorno rabbi Mendel chiese a bruciapelo: “Dove abita Dio”? Gli ospiti risero di lui: “Ma che vi prende? Il mondo non è forse pieno della sua gloria?”. Ma il Rabbi diede lui stesso la risposta alla domanda: “Dio abita dove lo si lascia entrare”».

Ecco ciò che conta in ultima analisi: lasciare entrare Dio.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *