
Meditiamo sulla Parola – I domenica di Avvento anno A
In occasione del 150° anniversario della proclamazione di san Giuseppe patrono della Chiesa Universale, Papa Francesco ha voluto un anno dedicato al padre di Gesù: dall’8 Dicembre 2020 all’8 Dicembre 2021.
Nel tempo di Avvento, anche noi vogliamo far memoria di una delle figure più importanti dell’evento-redenzione.
Nella Lettera Apostolica “Patris Corde” il papa afferma: “Nel nostro tempo segnato da una crisi globale, Giuseppe può essere di sostegno, di conforto, di guida”.
Il nome Giuseppe in ebraico significa “Dio aggiunge” o anche “Dio faccia crescere”. È un augurio e una benedizione.
I principali riferimenti geografici sono Betlemme e Nazareth, che hanno un ruolo importante nella comprensione della sua figura. Nel primo Testamento, Betlemme è chiamata Beth-Lachem = La casa del Pane. In arabo, invece, significa Casa della Carne. Il pane e la carne rimandano all’ultima cena.
È da considerare: Gesù, come luogo della sua incarnazione, non sceglie la centrale Gerusalemme, ma villaggi periferici e marginali. La buona notizia va data a tutti, ma destinatari privilegiati sono gli scartati, gli esclusi, gli emarginati.
Giuseppe è un maestro dell’essenziale, ricerca ciò che davvero vale; è capace di discernimento. Con umiltà si confronta con le grandi questioni della vita: la paternità, la famiglia, l’educazione, il lavoro.
Gesù nei Vangeli è il figlio di Giuseppe, figlio di un carpentiere. Matteo e Luca, per evidenziare la storicità di Gesù, riportano una genealogia ove Giuseppe risulta non padre biologico ma genitore a pieno titolo. Vive un protagonismo, ma non si impadronisce mai della scena. Non si preoccupa di affermare se stesso ma prova gioia nel fare emergere chi gli è accanto. Il suo non è l’atteggiamento del perdente, ma dell’uomo libero.
Noi, dotati di personalità fragile, abbiamo bisogno costantemente di essere confermati. Siamo disposti a tutto pur di occupare la scena. Giuseppe non nutre nessuna invidia perché tutto concentrato su Gesù. A parole diciamo di avere nostalgia di una vita fraterna ma in realtà siamo pieni di invidia e gelosia. I luoghi comuni sono un ostacolo alla corretta comprensione.
Anche Giuseppe è vittima di mormorii e di pregiudizi. Per alcuni è una figura scialba e sbiadita, una comparsa, un uomo senza voce, senza autorità e senza personalità. La santità, veramente tale, ha i piedi per terra, e non ha la pretesa di avere sempre la soluzione a portata di mano; è valorizzare anche i propri difetti e le proprie cadute, è assumere la propria umanità così com’è.
Prendersi cura della esistenza, ma soprattutto preoccuparsi di essere consistente.
Lo sposo di Maria è una persona non distante dalla realtà, ma immersa in essa. Come noi rimane continuamente spiazzato da una quotidianità che lo mette in discussione. Diversamente da noi, però, lascia sempre aperto uno spiraglio, ascolta il sogno.
Dice il cardinale Martini: “Alle soglie del terzo millennio lasciateci sognare”.
Il cristiano non si preoccupa della nobiltà di sangue o di stirpe, ma della nobiltà di spirito. Una esistenza piatta e opaca richiede di essere nobilitata per intravedere l’eternità dentro il tempo.
Giuseppe parla a tutti, in modo particolare ai padri che, nella nostra società, si trovano davanti ad un compito che sembra impossibile.
Viviamo un tempo abusato dalle parole, sempre più gridate.
Col suo silenzio Giuseppe ci spinge alla ricerca di senso e ad attraversare questo tempo con consapevolezza e dignità.