
Meditiamo sulla Parola – II domenica di Avvento anno A
Giuseppe di Nazaret, promesso sposo di Maria, è nostro compagno di viaggio per il tempo di Avvento.
Nel suo vangelo Matteo lo definisce uomo giusto «Maria, promessa sposa di Giuseppe prima di andare a vivere insieme si trova incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe non vuole ripudiarla perciò decide di licenziarla in segreto». La donna infedele deve essere denunciata e lapidata. Giuseppe non denuncia Maria.
È utile ricordare le usanze matrimoniali dell’antico Israele.
Il matrimonio comprende due tappe ben definite. La prima tappa è un fidanzamento ufficiale, che comporta già una situazione nuova. La donna, pur continuando a vivere nella casa paterna ancora per un anno, è considerata di fatto moglie del promesso sposo.
Seconda tappa: il trasferimento della sposa dalla casa paterna alla casa dello sposo. Questo passaggio è accompagnato da una festosa processione.
Col passare del tempo cade in disuso la lapidazione. Giuseppe è giusto perché sottomesso alla Legge. L’amore per Maria, la fiducia che ha in lei gli suggeriscono un modo che salva l’osservanza della Legge e l’onore della sposa. Fa di tutto per non sottoporla all’umiliazione pubblica. Sceglie la riservatezza.
«In sogno appare a Giuseppe un angelo: figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Partorirà un figlio. lo chimerai Gesù perché salva il suo popolo dal peccato».
Tutti veniamo al mondo con uno scopo e una vocazione, non prendere coscienza di questo significa condannarsi all’infelicità. Il segreto di Giuseppe è la fedeltà alla sua vocazione specifica.
A volte si verificano circostanze che inizialmente appaiono drammatiche ma col passare del tempo svelano il loro aspetto provvidenziale. La tentazione è chiudersi nel dolore, in una visione del tutto negativa. Questo non fa bene, porta tristezza, depressione e tanta amarezza. Dimentichiamo che nonostante tutto la vita è bella.
Bisogna compiere una scelta esigente: passare dall’innamoramento all’amore maturo. Perché questo possa realizzarsi sono necessarie relazioni profonde, in particolare le relazioni familiari. La presenza o l’assenza della famiglia fa la differenza. Non si tratta di vivere insieme ma di essere l’uno per l’altra.
Gesù chiama Dio “Padre – Abba”. Il Padre è protagonista di molte parabole.
La più conosciuta è quella del “padre misericordioso” riportata da Luca. Il figlio si aspetta una punizione, una riduzione al rango di servo, ma si trova spiazzato dall’abbraccio del padre.
Dio non si spaventa dei nostri peccati: «Se il tuo cuore ti rimprovera qualche cosa, il mio è più grande del tuo». «Se i tuoi peccati sono rossi come lo scarlatto, io li rendo bianchi come la neve».
È importante sentirsi amati, accettati come siamo.
Per molto tempo abbiamo ripetuto cogito ergo sum: penso, quindi sono. Oggi invece è necessario che il cogito diventi cogitor: sono pensato! Dio non fa affidamento sui nostri talenti ma sulla debolezza redenta. Per Paolo la fragilità fa parte di un progetto: «La forza, infatti, si manifesta pienamente nella debolezza (2Cor 12,7-9)».
Il Signore non toglie le nostre debolezze, ma aiuta a camminare nonostante le debolezze. La potenza di Dio passa proprio attraverso la nostra fragilità.
C’è una condizione perché questo si realizzi: non confondere redenzione con punizione.
È giusto che chi ha sbagliato paghi per il suo errore ma è non meno giusto impedire a chi ha sbagliato di redimersi. Non possono esserci condanne senza finestre di speranza. Qualsiasi condanna richiede una via d’uscita verso una vita migliore.