
Meditiamo sulla Parola – Natale del Signore anno A
Tanti preparativi. Tutto è predisposto con cura. Non sono trascurati i dettagli, ma puntualmente dimentichiamo il protagonista perché minuto e per niente ingombrante. C’è il rischio di dover ripetere come un tempo: “Per te non c’è posto nell’albergo”.
Eppure, tutto dovrebbe essere in funzione di Lui.
Giovanni nel prologo dice: “Tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste”.
Una colossale operazione commerciale ingabbia il Natale. Lo tiene in ostaggio con abilità sempre più vorace. Nonostante le apparenze, Gesù rimane il grande assente.
Il nostro Natale fa parte di una Liturgia ciclica. Il 25 Dicembre dell’anno scorso, abbiamo fatto memoria di Gesù Bambino. Oggi, dopo un anno, di nuovo la stessa memoria. Non è consentita la crescita. È consentita solo la mescolanza di sacro e profano.
In realtà Gesù è nato una volta per sempre (epafax) e noi siamo in attesa del suo ritorno, del tempo in cui, come dice il profeta, il lupo dimorerà insieme all’agnello e il leone si ciberà di paglia. Siamo in attesa di una nuova era, di una creazione nuova.
L’immagine della natività la troviamo sulla carta per confezionare i regali, sui vari contenitori, sulla scatola dei cioccolatini, sulle bottiglie di spumante, nelle vetrine di lusso, nelle luminarie pacchiane.
Ironia del caso, tutto l’apparato, dovrebbe trasmettere gioia, ma di fatto procura solo tristezza.
Il grande assente sembra chiedersi “Cosa c’entro io con tutta questa mercanzia, con tutta questa confusione? Questo non ha nulla a che vedere con me. Mi rifiuto di essere un semplice pretesto per una verniciatura di buoni sentimenti che nasconde una grande ipocrisia”.
Noi vogliamo accumulare, aggiungere ma non vogliamo condividere, sottrarre.
Ci basta un tocco religioso che non fa male, un’incipriata di bontà, un pizzico di nostalgia, un accenno di generosità.
Purtroppo, siamo vaccinati contro la sorpresa. Pretendiamo di sapere tutto, ma per sintonizzarci con la buona notizia, occorre stupore, meraviglia, incanto.
Papa Francesco ha il coraggio di affermare: “È meglio essere atei che simulare un sentimento religioso senza l’impegno di un’appartenenza profonda.”
Un uomo verace, ateo o credente, si pone dinanzi al Natale come di fronte a una realtà inquietante.
La missione della Chiesa deve essere un’abissale ricerca in interiore homine, nell’uomo interiore. Non si tratta di mettere insieme l’inconciliabile, ma di dare spazio a ciò che veramente conta. E ciò che veramente conta è la sobrietà, la modestia, la discrezione.
Raul Follerau, apostolo dei lebbrosi, si chiede: “Se Cristo bussa oggi alla nostra porta come immigrato, come pezzente, come lebbroso, quale accoglienza trova?”.
Per non creare traumi, i bambini dei nostri presepi non rassomigliano ai bambini dell’Africa o dell’Asia o delle periferie del mondo. Di solito è un bambolotto dalla faccia paffuta con dei piedi che sembrano soffici cuscinetti. Indossa una camicia celeste ricamata con oro, bordata di pizzo.
Natale richiede cambiamenti radicali, spostamenti decisivi nella scala dei valori. Occorre creare situazioni nuove, correggere una mentalità non sempre evangelica, dare spazio a pensieri diversi. Tutto questo serve per non cadere nella trappola dell’appagamento e del compiacimento. Dobbiamo ammettere che ci siamo adattati a una mentalità mondana, ci siamo addormentati.
Il Natale veramente cristiano ripete: “Svegliati tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo t’inonderà di luce”.
Ci scambiamo gli auguri di Natale con le parole di don Primo Mazzolari: “Donaci la gioia di sentirci redenti, donaci la tristezza di non esserlo ancora”.