Meditiamo sulla Parola – IV domenica tempo ordinario anno A

Le beatitudini fanno parte di un cammino, non sempre semplice perché è il cammino della vita.

Le beatitudini riguardano chi è beato in virtù delle azioni che compie. Beato, in ebraico ashrè, significa andare, avanzare. Beato è chi trova la gioia nell’insegnamento del Signore e lo medita giorno e notte, chi discerne il povero, chi agisce con giustizia, chi pratica il diritto in ogni tempo.

La beatitudine non è qualcosa che si possiede una volta per tutte ma è un cammino verso, è un muovere verso una gioia che non è ancora nella sua pienezza. C’è un nesso tra beatitudine e gioia.

In che modo la felicità è un approssimarsi alla beatitudine? Il momento di felicità non è un momento statico ma dinamico, è una relazione.

Ereditiamo il termine “felice” dalla tradizione latina. “Felix” per gli antichi è ciò che è fecondo e si riferisce ad una realtà fertile. Questo è detto in riferimento alla terra e alla natura. Narra la vita nel suo nascere, crescere, portare frutto. “Arbor felix” è l’albero che porta frutti.

Se lasciamo da parte una lettura epidermica, ci rendiamo conto che nel fondo di ogni vita c’è qualcosa di terribile, di pesante, di duro, di aspro. Portiamo dentro di noi montagne di tristezza, una cappa che non risparmia nessuno. La gioia vera è rara nel nostro mondo, non ha niente a che vedere con l’euforia, con l’ottimismo facile, con l’entusiasmo a basso prezzo. Tutti i nostri sentimenti veicolano il sospetto: È vero? Debbo crederci o è un inganno?

La gioia non viene solo dal di dentro, ma sorge anche dal di fuori. Rimanda alla dimensione di interiorità e insieme alla dimensione di esteriorità. Abita gli anfratti nascosti della nostra vita. Ci sono gioie che sopravvengono, inattese, non pianificate, non preparate. È qualcosa che sorprende e scuote, apre allo stupore. La Scrittura parla di un tesoro sepolto che qualcuno trova. Non è a portata di mano perché conosce il nascondimento.

La gioia autentica diventa sorriso, luminosità dello sguardo, occasione di relazione. A ben vedere con le beatitudini non ci troviamo dinanzi ad un manifesto straordinario di parole ma dinanzi ad una sequela di volti. Non ci troviamo dinanzi ad una definizione astratta. Non si dice: “Beata la mitezza” … ma “Beato il mite”. Bisogna armonizzare tutto ciò che ci abita per guardare il mondo con occhio pacificato. Si edifica creando comunione. Mite è un’altra parola preziosa nella Bibbia. Dice anche la maturazione dei frutti. Mansuetudine è un termine che dice riferimento alla docilità. Dice riferimento alla pecora che si avvicina alla mano del pastore. Non sottomissione ma consolazione. Si tratta di affidarsi. Gesù sulla croce: “Padre, nelle tue mani affido il mio spirito”.

Oggi, in questo momento storico, che risonanza hanno le parole felicità, mansuetudine, mitezza? Hanno una cittadinanza provata. Hanno una gioia sperimentata, una beatitudine provata. Fanno parte del nostro bagaglio. Sono provate come oro dal crogiuolo.

Le beatitudini nel nostro tempo non godono di un largo consenso. Appaiono paradossali perché rovesciano i valori mondani. Al centro della struttura delle beatitudini c’è la consolazione, il fermo proposito di riportare all’integrità ciò che ha subito una mancanza. Agostino: “Il Cristo è il consolatore delle nostre fragilità”. Nel libro di Isaia la consolazione è definita come opera di un architetto che ricostruisce le mura e il tempio di Gerusalemme. In mezzo a queste macerie risuona la voce: “Consolate, consolate il mio popolo, il Signore ricostruisce Sion”. Dio, consolando, edifica.

La consolazione non è fatta di parole vuote ma va concretizzata in gesti che dicono una presenza. Vive di prossimità silenziosa, non solo vicinanza fisica ma vicinanza del cuore. Gli amici di Giobbe vogliono dare una spiegazione al suo dolore, ma l’edificio di una falsa consolazione ben presto si sgretola. “Beato chi legge e ascolta queste parole e custodisce le cose che vi sono scritte” (Ap).

La Bibbia è come uno specchio. Non dice solo ciò che siamo ma soprattutto ciò che possiamo essere. Diventare la meta verso la quale possiamo tendere. Leggete e meditate le beatitudini perché oggi sia il giorno della consolazione, di una gioia potente, capace di trasformare in speranza tutta la nostra afflizione.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *