
Meditiamo sulla Parola – VII Domenica tempo ordinario anno A
Ritorna l’avvertimento: “Ma io vi dico”.
Siamo alla fine del discorso della montagna, riportato da Matteo al capitolo 5. Il discorso, iniziato con le Beatitudini, termina con l’impegnativa consegna: “Siate perfetti come è perfetto il Padre Celeste”.
Gesù non usa un linguaggio diplomatico, ma il suo linguaggio è nudo e crudo. Le sue richieste sono oltremodo esigenti. Il Maestro di Nazareth non si limita alla diagnosi, ma mette in guardia da un vuoto legalismo e prospetta una società fondata da una giustizia che non deprime, ma promuove.
La Legge divide: colpevoli e innocenti, la misericordia del Padre abbraccia colpevoli e innocenti.
La pagina biblica di oggi fa riferimento alla legge del taglione “ius talionis”. Secondo questa legge posso infliggere a chi mi ha colpito un danno uguale all’offesa ricevuta.
Tolstoj, che ha dedicato l’intera esistenza alla non violenza, considera il “Ma io vi dico “, come il centro ideale di tutto il Vangelo. La legge del taglione è una vendetta legalizzata.
Non bisogna lasciarsi assediare dai bisogni artificiali; l’obbedienza non deve essere servile, bisogna tenere sotto controllo la rabbia, non bisogna essere venditore di inganni.
Occorre assumere il perdono nel senso di dono-per.
È necessario affrontare le diverse e numerose difficoltà con viscere di tenerezza. Il Signore come sempre va oltre il seminato per indicare la strada giusta. Cambiare mentalità (metanoia) diventa un’esigenza. È assumere la logica di una misura sovrabbondante.
Non si tratta di essere neutrali o di lavarsi le mani, ma è la scelta di chi denuncia ogni sopruso che schiaccia in modo particolare gli ultimi e i marginali. Occorre prendere posizione: stare sempre dalla parte degli oppressi e mai dalla parte degli oppressori. Il male non si vince con il male e non si riproduce quando trova resistenza. Occorrono gesti contro-corrente, comportamenti che all’inizio possono sembrare incomprensibili ma di fatto, con umiltà ed efficacia, costruiscono relazioni conviviali.
Gesù spiega con esempi verificabili quello che vuol dire.
“Porgi l’altra guancia” non equivale a “incassa lo schiaffo e corri via, datti alla fuga”. L’invito è un altro: non agire come agisce il tuo nemico, non ripagarlo con la stessa moneta.
Anche il riferimento al mantello e alla tunica non significa “lasciati sopraffare dalla prepotenza dell’altro”, ma dai più di quanto l’altro ti chiede; fai con l’altro il doppio della strada, anche si ti viene chiesto con prepotenza.
Non farti mettere i piedi addosso, ma fatti compagno di viaggio, come Gesù ad Emmaus. Non calcolare, ma aiuta, sostieni, allevia il dolore, non negare la tua vicinanza, non adottare la logica della distanza. Questo va fatto sempre, ovunque e totalmente.
“Ma io vi dico”: “prega e ama chi ti perseguita e si fa tuo nemico”.
Un amore verace è capace di superare ogni barriera e ogni frontiera. Non è un sentimentalismo scadente, ma una virtù intelligente. È la consapevolezza che non si raggiunge la pace mediante la guerra. Occorre, per quanto ci è possibile e con l’aiuto di Dio, superare la logica amico – nemico. Dobbiamo cercare, senza ipocrisia, di aiutare il nostro nemico in tutte le cose. Questo è possibile se non consideriamo il perdono come frutto dei nostri sforzi, ma come dono.
Tommaso Moro (1478) prima di essere decapitato scrive: “Signore buono, donami, per Tua grazia, di non trattare la morte da estranea. Di pregare per il perdono prima che arrivi il Giudice; di recuperare il tempo che ho già perso; di evitare la facile euforia; di tagliare corto con gli intrattenimenti superflui; di tenere i più grandi nemici per i migliori amici”.
Non si tratta di una perfezione morale, ma di un compimento della vita umana che si realizza nella figliolanza. Siate figli, siate fratelli.
A noi il compito di compiere passi di figliolanza e di fratellanza in questo mondo desideroso di amore e di giustizia.