Meditiamo sulla Parola – I Domenica di Quaresima anno A

L’uomo è un essere tentato. Proprio perché l’essere umano possiede la libertà, si trova in un regime di prova. Per umanizzarsi, l’uomo deve rinunciare ai sogni, all’illusione di onnipotenza. Rimanendo sempre nello spazio della libertà, deve imparare l’arte della resistenza. Occorre avere la convinzione: senza tentazione non c’è libertà. La narrazione della tentazione dell’Adam riguarda l’umanità intera e ogni uomo.

Gesù, essendo uomo uguale a noi in tutto, è tentato. La lettera agli Ebrei precisa: “Senza commettere peccato, uguale a noi in tutto, tranne il peccato”. Non c’è tentazione umana che gli sia estranea.

Le tentazioni vissute da Gesù vanno prese sul serio, non sono una scena, ma un’esperienza vitale, una condizione permanente della sua vita, fino all’ora della morte. Luca al capitolo 4 dice: “È stato tentato sempre fino al tempo opportuno” (Kairos). Nell’ora della Croce gli vengono rivolte le stesse domande dell’inizio.

I tre racconti sinottici seguono la narrazione del battesimo, cioè la sua prima apparizione pubblica. I Vangeli testimoniano, innanzitutto, l’apparizione del Battista che predica la conversione. Immerge quanti vanno da lui per la remissione dei peccati. Gesù appare per la prima volta tra i peccatori. È pienamente solidale con loro. Si aprono i cieli e risuona la voce del Padre che si compiace di lui, della condizione da lui assunta. Gesù accetta di scendere fin giù nello Sheol, cioè agli inferi. “Tu sei mio figlio, l’amato; in te mi sono compiaciuto, Ho posto in te la mia gioia”. Questa esperienza avviene sempre nell’ambito della fede. Fede non è certezza, non è evidenza, ma adesione e fiducia totale. Con l’immersione Gesù non diventa un super-uomo. Le tentazioni continuano. Resta un figlio di Adamo.

Lo Spirito, sceso su di Lui, lo spinge nel deserto ove è predominante l’esperienza della mancanza. Il deserto è il luogo per eccellenza della tentazione di Israele, è il luogo della tentazione di Elia, ma innanzitutto è il luogo della solitudine, dell’assenza degli altri. La solitudine è come un crogiuolo da cui si può uscire raffinati, più umani. Nella solitudine del deserto non si può attribuire ad un altro la colpa della propria caduta, ma occorre assumerla con responsabilità. Nel deserto non c’è nessuno davanti o accanto: c’è l’uomo che, quando è tentato, deve guardare con lucidità sé stesso, deve aderire alla nuda realtà. La solitudine è necessaria, è feconda, diventa uno strumento privilegiato per la conoscenza di sé, per conoscere ciò che abita il proprio cuore, per comprendere se veramente cerchiamo Dio.

Matteo scrive il Vangelo per dei cristiani provenienti dal giudaismo e ciò che gli sta a cuore è mettere in evidenza la continuità della fede tra primo e secondo Testamento. Il primo Testamento non è abolito, neppure è stata abolita la Legge, anzi Gesù la compie, nel senso che la realizza e la porta a pienezza: Gesù vive nella sua carne il compimento delle Scritture.

Nel Vangelo secondo Matteo vi è un preciso parallelo tra Gesù e Mosè: come Mosè anche Gesù nella sua infanzia viene perseguitato; come Mosè anche Gesù scende in Egitto per poi fare ritorno nella Terra Promessa; se Mosè sulla montagna dona la Torah, Gesù la rinnova e la riattualizza. Gesù è più grande di Mosè, perché è il profeta ultimo, il Messia, è colui che porta a compimento la vocazione di Israele.

Secondo Isaia, risalendo dalle acque del mare, Mosè aveva ricevuto lo Spirito Santo, lo stesso avviene anche a Gesù nel Battesimo. Con una differenza decisiva: per Mosè e Israele all’uscita dall’Egitto era seguito il cammino nel deserto per 40 anni, un tempo segnato dalle tentazioni alle quali essi avevano finito per soccombere, Gesù invece risulta vincitore sulle seduzioni del male.

Lungo la sua vita, numerose altre volte, Gesù sarà tentato, e di questo vi è traccia nelle pagine evangeliche in cui si narra dei tranelli che gli sono tesi dai suoi avversari. Nell’ora della passione è sottoposto ad una prova terribile: restare fedele al Padre, anche a prezzo di subire una morte violenta in croce, oppure percorrere altre vie che portano come promessa sazietà, potere, ricchezza, successo. Sul monte degli Ulivi Gesù invita i discepoli a pregare per non entrare in tentazione. Lui stesso dà loro l’esempio e prega il Padre, restando pienamente sottomesso alla sua volontà. Accoglie l’arresto senza difendersi e senza opporre violenza a violenza, senza mutare il suo stile, il suo comportamento di mitezza, ma rimanendo fedele alla verità che aveva contraddistinto la sua vita.

In definitiva la tentazione in cosa consiste?

Rimuovere Dio ritenuto secondario, addirittura superfluo e fastidioso. Ordinare questo mondo, senza ricorrere a Dio; ridurre l’uomo al suo bisogno di cibo; contare solo sulle proprie capacità; ritagliare la Parola a nostro uso e consumo; ritenere reali solo le realtà materiali, ossia ciò che si vede e si tocca. Là dove Dio è considerato una grandezza secondaria, dove Dio non ha nessuna evidenza, si finisce per trasformare il pane in pietre.

Secondo Bonhoeffer “Dio non salva dal dolore, ma nel dolore, non salva dalla croce, ma nella croce”.

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