
Meditiamo sulla Parola – IV Domenica di Quaresima anno A
L’occhio è definito “l’organo di linguaggio del sentimento” (Novalis).
Lo sguardo è decisivo. Possiamo dimenticare il volto di una persona, ma i suoi occhi rimangono indelebili, continuano a guardarci. I gesti sono come le consonanti, gli occhi, invece, come le vocali dell’espressività umana. Gli occhi portano dentro di noi tutto ciò che è esterno a noi. I mille volti del mondo, attraverso il guardare, vengono accolti e immagazzinati. I nostri occhi si aprono continuamente per accogliere il nuovo, ciò che è bello e avventuroso, ciò che è degno di essere contemplato.
Vedere è un’operazione complessa, implica un processo di conoscenza. Vediamo veramente solo quando scopriamo il significato di quanto si vede. Occhi dello spirito sono quelli che non si fermano alla superficie, ma penetrano in ciò che è nascosto. La visione interiore completa ed approfondisce quella esteriore. Questo implica una scelta: Salmo 115: “Hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono”. Il Vangelo denuncia: “Gli uomini amano più le tenebre che la luce”.
Ogni incontro con Gesù richiede una scelta di campo: la luce accolta che conduce all’illuminazione, quella respinta che ci lascia sprofondare nelle tenebre. Per l’evangelista Giovanni il peccato dei peccati è il rifiuto della luce. Ciò comporta orizzonti sempre più limitati, incapaci di vedere oltre. Alla profondità che richiede un impegno, si preferisce ciò che ovvio. Non bisogna dimenticare che il mondo, anche se malvagio, è oggetto dell’amore di Dio. Il nostro occhio ha la capacità di combinare e comporre in unità. Un’ opera composta di innumerevoli elementi, grazie all’occhio diviene un tutt’uno. Ci sono dei mondi, delle realtà che diventano accessibili solo chiudendo gli occhi.
Consiglia Plotino: “Chiudi gli occhi e risveglia in te un volto nuovo”. Ugo di San Vittore ribadisce: “Dov’è l’amore, là è anche l’occhio”.
Durante la nostra vita dobbiamo imparare a vedere, ad allargare le nostre percezioni limitate. Il Salmo 119 chiede: “Aprimi gli occhi, affinché io veda”. Molti vedono ciò che li circonda, ciò che accade, ma non sanno cogliere la novità, soluzioni diverse e originali. L’unica preoccupazione è confermare il vecchio (…si è fatto sempre così).
Per Gesù l’occhio è la lucerna del corpo. Il contemplativo, che non è un aggressore, ha uno sguardo penetrante, percepisce la realtà con rispetto e con stima. È motivo di gioia sapere che Dio ci tiene davanti ai suoi occhi, guarda con attenzione, segue i nostri itinerari e le nostre follie. Conosce l’agire a volte incomprensibile all’uomo stesso. “Il Signore guarda dal cielo. Scruta tutti gli abitanti della terra e comprende tutte le loro opere”. (Salmo 33). Il suo è l’occhio del Padre che educa. Questo sguardo fa superare anche l’ultima frontiera, la morte. Laddove l’uomo vede solo limiti, Dio dà possibilità. Gesù: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre”.
Pur avendo piedi sani non vediamo la strada. Ricordiamo allora il segno del cieco nato, ricordiamo che il Maestro ha illuminato perfino i ciechi.