
Meditiamo sulla Parola – Pasqua di Resurrezione anno A
La Liturgia pasquale è un invito forte alla gioia, ma come gioire quando intorno a noi ci sono tante lacrime da asciugare, tante ferite da sanare?
“Come cantare i canti del Signore in terra straniera?” “Come suonare in un Paese straniero? Come essere nella gioia quando vengono uccisi uomini innocenti? Quando i bambini muoiono di fame, quando le persone sono torturate in mille modi per poi scomparire nel nulla?”
Il personaggio centrale del film “Il violinista sul tetto” è un lattivendolo, membro di una comunità oppressa da mille angherie. I giovani sono costretti ad arruolarsi in eserciti stranieri. Nonostante le tante problematiche, la piccola comunità balla e canta, vive nell’armonia, copre il lamento con buona musica e con il canto. Scoprono nel gemito, nel lamento delle creature, lo spazio per la lode di Dio. Non vogliono dimenticare, ma vogliono affermare, ricordare che la letizia è la forza della vita. È un invito alla meraviglia e allo stupore per ogni inizio creativo.
Secondo i Testi sacri, la gioia è provocata dalla certezza della presenza e della vicinanza di Dio. Una certezza capace di creare cieli nuovi e terre nuove. La gioia nasce dalla consapevolezza che il Creatore non è relegato nell’alto dei cieli, ma è il tutto abbracciante. Basta lasciarsi abbracciare. Questa presenza viva viene spesso descritta come il volto splendente di Dio che si compiace dei suoi figli e dei suoi amici. Da questo volto scaturisce la benedizione (Berakah) che rende la vita, una vita compiuta e trasforma l’esistenza, il quotidiano, in una festa.
L’azione di Dio ha una incidenza anche sulla dimensione cosmica. Dice Paolo: “Tutta la creazione geme per le doglie del parto”. Grazie all’azione del veniente, fiorirà tutta la creazione: cambierà il lamento in danza, toglierà l’abito di sacco per rivestirci dell’abito nuziale, sarà una vera Palingenesi. L’azione di Dio investe l’umano, ma non meno incide sul regno vegetale, minerale e animale.
Alcuni sostengono che la religione scaturisce dall’oppressione dell’uomo. Secondo questa ipotesi, la preghiera è il respiro delle creature oppresse. In verità, una religione degna di questo nome nasce dalla festa e dall’esuberanza, in uno spazio dotato non di muri, ma di ponti. Nella festa, l’anima si eleva “sursum corda”, è portata nello spazio ampio di Dio.
Il cristianesimo non nasconde, non opprime, ma libera forze nascoste, riporta la vita alle sue origini. “Cristo è risorto. Egli è risorto veramente”. Dio non aspetta, non pretende nessuna lode e nessuna adorazione, ma gioisce quando le sue creature gioiscono. Dio non considera l’uomo un concorrente. La gioia è prima di tutto di colui che trova: “Quando il pastore trova la pecora, pieno di gioia se la carica sulle spalle, chiama gli amici e fa festa”. Dio trova gioia quando ritrova i perduti. Ritrovare una persona è come ridargli la vita.
La gioia non può essere solo esteriore e passeggera, ma va vissuta con tutto il cuore, con tutta l’anima e tutte le forze. Oggi per far festa, si ingaggiano animatori specializzati, intrattenitori capaci di svegliare i dormienti. È e deve essere motivo di speranza sapere che l’inno europeo è formato dall’inno alla gioia e la Nona Sinfonia di Beethoven.
Amare è uscire da noi stessi per abbandonarci alle esperienze della vita. Solo nell’amore siamo capaci di essere portatori di felicità. Il Cristianesimo è la religione della gioia, sebbene nel suo centro ci sia la passione e la morte di Cristo in croce. Dietro il Golgota sorge il sole della resurrezione, perché il crocefisso è apparso sulla terra nello splendore della vita divina, perché in lui incomincia la nuova creazione del mondo. Dice Paolo: “Il peccato è potente, ma la grazia è ancora più potente”. Dove abbondò il peccato, là sovrabbondò la grazia.