
Meditiamo sulla Parola – II Domenica di Pasqua anno A
Il Nuovo Testamento per esprimere la sua comprensione di Gesù ricorre al termine Risurrezione.
In Atti degli Apostoli si dice: “Voi israeliti avete crocifisso Gesù Nazareno, ma Dio lo ha risuscitato, liberandolo dalla morte”.
In latino re-surgere significa “rimettersi in piedi”; anche il verbo greco “anistamai” vuol dire “collocare in posizione eretta” (ana) qualcosa precedentemente caduta in posizione orizzontale.
La morte infamante non pone fine alla sua vicenda ma è ribaltata, capovolta, sovvertita.
Stare in piedi: l’immagine di per sé è facile, difficile è comprenderla nel suo contenuto profondo.
Cosa vuol dire che in Gesù la morte è capovolta?
Per i sinottici (Matteo, Marco e Luca) la risurrezione è negazione della morte: “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocefisso. È risorto, non è qui”.
Il Risorto è una realtà inedita con la quale gli apostoli si confrontano per la prima volta. Il primo passo da compiere è la presa di coscienza della eccezionalità dell’evento. Un evento non ordinario, non omologabile.
Per una corretta comprensione è necessario precisare che cosa non è la risurrezione.
Innanzitutto, non è tornare alla vita di prima. La risurrezione non è come la rianimazione di Lazzaro. Quest’ultimo torna ad una vita mortale, Gesù passa ad una vita in cui la morte non è dilazionata, ma sconfitta. Non è un passare ad una vita che non finisce mai. Secondo il pensiero biblico l’immortalità non è un valore in quanto tale. Una vita insensata che non finisce mai è mille volte più tragica di una vita finita. L’opposizione è tra finito vissuto secondo il disegno di Dio e il finito vissuto contro il volere di Dio.
L’eden non è abitato da super-uomini, ma da creature limitate che cercano le ragioni profonde del loro esistere. La Risurrezione è l’emergere di una vita così come voluta dal Creatore.
Uno spartito musicale per esprimersi nella sua verità esige una esecuzione obbediente. Il musicista non esegue come gli pare e piace ma lo fa in sintonia con lo spirito dello spartito. Solo dentro lo spazio dell’obbedienza le note diventano musica. In Gesù per la prima volta Dio trova obbedienza e non una volontà ribelle. Trova senso e salvezza e non giudizio e condanna.
La risurrezione incide sulla nostra ferialità e sul quotidiano. Riscatta dal non-senso perché espressione di un amore gratuito che non pretende il contraccambio. Con il Risorto, la storia giunge finalmente al suo compimento, alla sua pienezza. L’uomo lascia la pretesa di autodefinirsi e si dispone all’accoglienza. Una sana vita spirituale non elimina ciò che è naturale/feriale. Non è una fuga dalla storia, ma apertura alle tante possibilità.
In Deuteronomio il Signore così esorta il suo popolo: “Davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, ama il Signore tuo Dio, obbedisci alla sua voce e tieniti unito a lui”.
Un testo del II-III secolo della nostra epoca dice: “Scegli la via della vita, per vivere tu e i tuoi figli nella vita del mondo futuro, ama Jhwh, obbedisci alla sua parola e accostati al suo timore. Perché nella Legge che mediti è la tua vita in questo mondo e l’estensione dei tuoi giorni nel mondo futuro”.
Per la pietà ebraica la fedeltà del Signore passa attraverso l’osservanza della Legge. Ogni giorno occorre decidere: o con Lui o contro di Lui; o abitati dal senso o immiseriti nella sua assenza.