Meditiamo sulla Parola – IV Domenica di Pasqua anno A

Nel Vangelo di Giovanni ha grande rilievo il simbolo. Simbolo deriva dal greco sun-ballo e significa: mettere insieme, sintetizzare. Dio è il simbolo per eccellenza, il diavolo-diabolon, invece è colui che divide. L’azione del tentatore è contrapposta, in maniera speculare, all’azione di Cristo.

Il primo simbolo del IV Vangelo è la porta, il secondo è il pastore che accompagna il gregge.

L’importanza data alla porta stupisce noi occidentali. Per noi la porta è quella della nostra casa: porte blindate che indicano un atteggiamento diffuso fatto di ristrettezze, di paure e di diffidenze. Siamo chiusi in noi stessi. Preferiamo rimanere protetti/isolati nei nostri gusci.

“Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo. Entrerà ed uscirà e troverà pascolo”. Gesù considera sé stesso come la porta per eccellenza. La porta, per l’orientale, è una sola: è la porta della città che dà accesso al Tempio. È il grembo che si chiude. Fuori della porta c’è il male, l’oscurità, il deserto, i predoni. Compito della sentinella: tenere lontano ogni forma di aggressione. In oriente nell’oscurità della notte le sentinelle continuano a scagliare frecce per colpire gli spiriti presenti intorno alla porta.

Le porte della città oggi non esistono più perché le nostre città non si presentano più come un corpo vivo. Nel linguaggio biblico la porta è come il Municipio, un centro vivente ove si svolge la vita economica, sociale, giuridica. Ci sono mercanti, si fanno contratti, c’è il coro dei curiosi. La porta è la parte per il tutto, ha un nome e gode di grande importanza. Pensiamo alle porte di Gerusalemme. Nello spazio dell’Islam quando si saluta un grande ulama, cioè un grande sapiente, si dice bab che in arabo significa porta.

Gesù fa una dichiarazione scandalosa per i suoi ascoltatori che provoca una reazione feroce. A Gerusalemme, sul lato orientale delle mura, esiste la porta delle pecore, chiamata anche porta probatica che dà accesso al tempio. Per una migliore comprensione del testo sacro, Ignazio di Loyola consiglia di contestualizzare il messaggio. Immaginiamo la scena: Gesù sulla spianata del Tempio è circondato dai suoi ascoltatori e si dirige verso il Tempio per i sacrifici rituali. Gesù guarda la moltitudine che sfila davanti a lui per andare verso il pastore supremo che è Dio. Osa dire: “D’ora in avanti, voi non avrete più bisogno di questa porta”. Cristo si presenta come il nuovo tempio.

L’altro simbolo biblico è il Pastore.

Questo simbolo porta in sé una carica provocatoria. “Io sono il buon pastore conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me ed io il Padre e offro la vita per le pecore”. La conoscenza biblica non è un esercizio speculativo ma riguarda la sfera dell’intimità.

Nel salmo 22 la parola ebraica menuhà indica un luogo di riposo: “Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce”. Non è un riposo da pic-nic ma il riposo supremo, l’essere pienamente con Dio. Quando il gregge attraversa una zona tenebrosa, pericolosa, si sente protetto. Sente che il pastore lo conduce in oasi verdeggianti. Chiama per nome chi conosce in pieno e ci tiene nelle mani. Chiamare per nome indica intimità. Cristo conosce il nostro nome, conosce chi siamo. Cammina innanzi e le pecore lo seguono. Il Pastore bello non si tiene a debita distanza ma è colui che condivide il viaggio, la strada.

La Pasqua porta l’annuncio che Dio è il totalmente Altro ma è anche il totalmente Dentro. Non siamo sospesi nel vuoto. Insieme al coraggio di esistere ci sia ridata la voglia di camminare.

Avverte Gregorio Magno: “Sciocco è colui che durante il suo percorso si ferma a guardare i bei prati e dimentica di andare là dove aveva intenzione di arrivare”.

 

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