
Meditiamo sulla Parola – Ascensione anno A
Oggi celebriamo la solennità dell’Ascensione al Cielo di Gesù, il Cristo.
Come va intesa l’Ascensione da noi uomini e donne in questo cambio d’epoca che stiamo vivendo?
Nel mondo ebraico non è insolito rappresentare uomini eletti come Abramo, Mosè ed Elia che vanno verso il cielo, tra le nubi e incontrano Jahvè sulle alture rocciose, cioè nello spazio più vicino al cielo. Nella cultura extra biblica, si narra l’Ascensione o il rapimento verso il cielo di personaggi eroici. Tutto ciò avviene all’interno di una visione fondata sul mito che divide il mondo in settori.
Questa visione, ormai ci è estranea. Immagini come Ascensione, Assunzione, Elevazione, Cielo, per gli uomini e le donne contemporanei, sono incomprensibili, sembrano residui di tempi ormai passati.
La questione impellente è chiedersi come parlare di Dio.
Per i discepoli di Gesù, la sfida è nel vivere la fatica del comandamento del Gesù risorto: “Andate fra tutti i popoli” senza restare a Gerusalemme, cioè dentro la logica del passato e del potere. La sfida e la responsabilità è quella di non incatenare, non ostacolare, ma favorire la corsa della Parola di Dio. Il Concilio Vaticano Secondo sottolinea la necessità di saper leggere i segni dei tempi. La nostra fede non è una fede disincarnata, ma ha come fondamento il logos che si è fatto carne.
Cosa vuol significare, dunque, oggi celebrare l’Ascensione? Significa abbandonare ogni visione ristretta, per recuperare orizzonti larghi, aperture sempre più ampie. Per cogliere il nocciolo della questione ci può essere di aiuto un testo poetico di Isaia: “Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, essi non ti sommergeranno; quando camminerai nel fuoco, la fiamma non ti consumerà”. Parole profetiche antiche, ma ancora valide. Permane la promessa: “Io sono con voi fino alla fine”.
Con il linguaggio poetico di Isaia viene detto che, anche nel mondo di oggi, si può sentire una voce interiore che suggerisce che, nonostante tutto, siamo avvolti in una realtà di speranza. Una realtà, quella di Gesù, una roccia che non ci fa vacillare. Questa è la nostra speranza.
Questa è la fiducia di Gesù, che sperimenta di non essere lasciato solo, di non essere abbandonato al potere del nulla. Gesù attraversa le acque e i flutti della vita, ma le acque e i flutti non lo sommergono. Va per la sua strada e incoraggia i suoi. Cammina in mezzo al fuoco delle ostilità degli uomini appartenenti al potere di Gerusalemme. Vive tra coloro che rifiutano il Vangelo liberatore del Regno di Dio. Ma quelle ostilità non lo bruciano, non lo fanno cadere nel nulla. Spende la sua vita facendo del bene a tutti e alzando chi è lasciato ai margini. Dopo essere asceso sulla Croce, la fiamma della morte non lo consuma. Dio non lo abbandona.
Oggi, nella Liturgia, celebriamo l’abbraccio amorevole di Dio che prende Gesù presso di sé, con sé, resuscitandolo, elevandolo in alto, assumendolo nel suo Cielo. Questo ha fatto Dio in Gesù elevato nel suo dono totale fino alla fine. Noi lo celebriamo come stella del mattino nuovo, un mattino che sempre desideriamo e ci impegniamo a favorire.
Noi testimoniamo, con le nostre scelte di vita, che Gesù è nella storia, è il veniente che rimane in mezzo a quanti vogliono dargli fiducia, goderne la compagnia, assaporarne l’amicizia. Lui, il vivente, ci sussurra che non serve a nulla guardare il cielo, quei cieli grandiosi del manto della supponenza religiosa. Non serve a nulla guardare il cielo moderno che spinge ad illudersi di farcela da soli senza gli altri, senza un senso serio della vita aperta al grande mistero.
Ecco, questo annuncio evangelico possiamo testimoniarlo e narrarlo in modo ragionevole anche ai nostri giovani. Perché l’Evangelo dell’Ascensione non è altro che l’Evangelo della speranza. E la speranza attraversa i cuori in tutte le epoche. La lingua della speranza è comprensibile da tutti e tutte. Così sia.