MARTIRI DEL NOVECENTO

Dietrich Bonhoeffer nasce a Breslavia, in Polonia, il 4 febbraio 1906 ma la famiglia si trasferisce ben presto a Berlino. Il padre Karl è professore di psichiatria presso l’Università di Berlino, la madre Paula è una delle poche donne tedesche laureate del tempo.

Dietrich decide di dedicarsi agli studi di teologia, ma il suo futuro non è il ministero pastorale, bensì l’università. Conseguito il dottorato di ricerca, ottiene l’abilitazione all’insegnamento; si reca, poi, negli Stati Uniti con una borsa di studio. Il soggiorno a New York diventa un’occasione per conoscere la spiritualità dei neri di Harlem.

In quel periodo, Bonhoeffer afferma di sperimentare un passaggio “da teologo a cristiano”, ossia da una fede “pensata” a una fede “vissuta” e “incarnata”. In sostanza, il giovane Dietrich è alla ricerca di una vita cristiana seria. Quando torna in Germania si dedica alla pastorale universitaria, unitamente alla catechesi in un quartiere di operai. Cerca di proporre uno studio della Sacra scrittura che non si fermi a una lettura storica, ma si sforzi di condurre a un’interpretazione teologica.

La conquista del potere del nazionalsocialismo è considerata dalla sua famiglia come una vera tragedia sul piano sia politico, sia morale. Dietrich si oppone ai tentativi del regime di Hitler di inquinare la Chiesa con l’ideologia nazionalista e antisemita. Cerca altresì di proporre alle Chiese evangeliche di portare avanti un’idea di pacifismo radicale, considerandolo quale unica prospettiva autenticamente cristiana. Per questo motivo, egli è affascinato dalla teoria e la pratica della non-violenza di Gandhi.

Dopo un breve soggiorno a Londra, nel 1935 torna in Germania e assume la direzione di un seminario della Chiesa confessante, a Finkenwalde. Il suo insegnamento era teso a preparare gli allievi non solo da un punto di vista teologico, ma anche spirituale, quasi a prepararli a un futuro di probabile persecuzione. Finkenwalde diventa progressivamente un importante cenacolo di spiritualità. La Gestapo mette fine a questa esperienza nel 1937, ma le attività continuano in forma clandestina. In aggiunta, Bonhoeffer decide di opporre l’obiezione di coscienza all’eventuale chiamata alle armi, e ciò oltre a determinare la minaccia di esecuzione come disertore, provoca non pochi imbarazzi per la Chiesa. Si decide, allora, di allontanarlo dalla Germania e gli viene affidato un incarico negli Stati Uniti. Tuttavia, Bonhoeffer, poco dopo, decide di ritornare in Germania dove è coinvolto dal cognato Hans von Dohnanyi in un’attività di spionaggio e di cospirazione, fatta di viaggi, contatti e tentativi di attentato (l’attentato a Hitler, progettato per il 22 luglio 1944, sarà poi scoperto e fallirà). I due riescono a far espatriare alcuni amici ebrei, destinati ai campi di sterminio. La Gestapo, indagando sulle loro attività, li arresta.

Bonhoeffer è rinchiuso nel carcere di Tegel, dove scrive numerose lettere da cui traspare la sua forza interiore e la sua spiritualità. In questo periodo (circa un anno e mezzo) produsse una serie di scritti che sarebbe stata poi raccolta nel volume Resistenza e resa, il suo lavoro più famoso, in cui rifletteva sul rapporto tra fede e azione, tra religione e mondo, proponendo un’idea di fede rinnovata e di un cristianesimo in dialogo con la società. A un compagno di prigionia italiano, che gli domandò come potesse un sacerdote partecipare a una cospirazione politica che prevedesse anche lo spargimento di sangue, disse: «Quando un pazzo lancia la sua auto sul marciapiede, io non posso, come pastore, contentarmi di sotterrare i morti e consolare le famiglie. Io devo, se mi trovo in quel posto, saltare e afferrare il conducente al suo volante».

Assieme ad altri congiurati, fu impiccato all’alba del 9 aprile 1945, pochi giorni prima della fine della guerra, per espresso ordine di Hitler.

(Fonti: Fulvio Ferrario, Un teologo contro Hitler, Credere, n. 18/2023, pp. 29-36; Wikipedia, Dietrich Bonhoeffer, https://it.wikipedia.org/wiki/Dietrich_Bonhoeffer)

 

Estratto da una lettera scritta dal carcere il 18 dicembre 1943

“Certamente non tutto quello che accade è semplice ‘volontà di Dio’. Ma alla fine comunque nulla accade ‘senza che Dio lo voglia’ (Mt 10,29); attraverso ogni evento cioè, quale che sia eventualmente il suo carattere non-divino, passa una strada che porta a Dio. […] Alcune persone hanno avuto fin dall’inizio della loro vita scosse talmente gravi che non si concedono, per così dire, una grande nostalgia; si sono abituati in un periodo molto lungo ad allentare ‘la tensione dell’arco’ interiore, e si procurano come rimpiazzo delle gioie di più breve durata e più facili da soddisfare. È il triste destino dei ceti proletari e la rovina di ogni fecondità spirituale. Effettivamente, non si può dire che sia bene per un uomo prendere bastonate precocemente e con frequenza nella sua vita. Nella maggior parte dei casi una persona ne esce distrutta. Sono certamente più temprati per tempi come i nostri, ma anche infinitamente meno sensibili. […]

Un paio di volte nella mia vita ho provato nostalgia; non c’è dolore peggiore; nei mesi che ho trascorso qui in prigione ho avuto alcune volte una nostalgia terribile. […] La prima conseguenza che simili periodi di nostalgia producono è che si vorrebbe trascurare in qualche modo la scansione normale della giornata, per cui un certo disordine minaccia di penetrare nella nostra vita. Qualche volta ho avuto la tentazione di non alzarmi la mattina alle 6 come al solito – il che sarebbe stato certamente possibile – e di dormire più a lungo. Finora mi è sempre riuscito di costringermi a non farlo; mi era chiaro che ciò sarebbe stato l’inizio della capitolazione, e che probabilmente ne sarebbe seguito di peggio; l’ordine esteriore e puramente personale (fare ginnastica la mattina, lavarsi con l’acqua fredda) fornisce sicuramente un certo sostegno all’ordine interiore. Inoltre: niente è più controproducente che cercare, in periodi simili, dii crearsi qualche rimpiazzo per ciò che è irraggiungibile. Non ci si riesce, e subentra un disordine ancora maggiore…

Credo che dobbiamo amare Dio e avere fiducia in lui nella nostra vita e nel bene che ci dà, in una maniera tale che quando arriva il momento – ma veramente solo allora – andiamo a lui egualmente con amore, fiducia e gioia.”

 

(Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, San Paolo edizioni, pp. 236-237).

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