Meditiamo sulla Parola – Trinità anno A

Oggi celebriamo la festa della SS. Trinità detta anche Triunità.

Il nome viene utilizzato per la prima volta nel 180 da Teofilo d’Antiochia vescovo della chiesa che è in Siria. Il termine è ripreso da Tertulliano nel III Secolo. Ancora oggi non è facile per noi cristiani spiegare il mistero centrale della nostra fede. Le nostre parole e i nostri concetti sono limitati e incapaci di tradurre l’aldilà in un linguaggio accessibile.

Gli artisti di tutti i tempi sono stati sempre affascinati dal mistero trinitario. Dio misericordioso e magnanimo non resta chiuso in sé stesso, ma pone la sua tenda in mezzo a noi.

Marc Chagall (1887 – 1985), pittore bielorusso,  realizza un libro scritto con pennelli e colori. Chagall si affida al Primo Testamento, prendendo spunto dall’episodio dei tre viandanti, ossia i tre angeli, ospiti di Abramo alle querce di Mamre (Gn 18,1-15). Chagall prende a modello l’icona dell’artista russo Rublëv che porta lo stesso titolo. Le due icone raccontano la reazione dell’uomo contemporaneo quando si confronta col Mistero.

Secondo Chagall, l’uomo moderno ha perduto l’intimità col banchetto divino, volge le spalle al mistero del pane sceso dal cielo. Nell’ opera di Chagall, colpisce l’intenso fondo rosso che dice amore, ma anche travaglio, dolore. Lo sfondo rosso spinge gli angeli verso lo spettatore.

A sinistra c’è Abramo. Alle spalle con abito giallo, c’è Sara che entra in scena con qualche vivanda per gli ospiti. Gli angeli, seduti alla mensa, sono i soggetti principali.

Si distinguono per il colore del loro abito: l’angelo centrale ha l’abito viola, colore che indica sofferenza: è l’immagine di Cristo. Il secondo angelo sembra posto a capotavola. Ha l’abito azzurro e le ali dorate: è il Padre. Infine, l’ultimo, vestito di bianco con una striatura verde sulle ali – colore della vita – è lo Spirito Santo. Con la mano indica il banchetto.

Nell’icona di Rublev, gli angeli invitano a prendere parte al banchetto, in questa di Chagall, voltano le spalle, non sono inclusivi, non sono invitanti.

Chagall riesce a cogliere lo smarrimento dell’uomo contemporaneo che non confida più in Dio, ma lo percepisce lontano, distante.

Ma Egli è in mezzo a noi, siamo noi che abbiamo perso la sua giusta collocazione. La nostra vita, la nostra quotidianità non è vissuta davanti alla mensa divina, ma alle spalle. Per noi Cristo e lo Spirito rimangono illustri ignoti.

Sul fondo in alto si scorge la mano di Dio che invita Abramo ad uscire da Ur dei Caldei, dalla fornace ardente dell’idolatria per ritornare a sé stesso. Abramo segue la direzione indicata da Dio e s’incammina verso l’angolo destro della tela. Qui l’uomo, in mezzo ai tre angeli, scopre la sorte di Sodoma e Gomorra e intercede per le due città.

Chagall indica all’uomo che non percepisce più Dio come una presenza amica, all’uomo che si autodistrugge nella sua stessa solitudine, la via per ritrovare sé stesso, quella stessa che fu di Abramo per uscire da Sodoma e Gomorra. La via della familiarità con Dio è quella che conduce alla mensa con lui.

Dio, come Abramo, non resta estraneo, ma entra nello spazio umano. La visita dice il desiderio di includere altri, di arricchire e di farsi arricchire dalla famiglia umana. Anche Dio, come noi, è soggetto di relazioni.

Per onestà intellettuale, dobbiamo riconoscere che la festa odierna, nonostante tanti sforzi, tanti tentativi per una maggiore comprensione, rimane estranea. La Trinità è una comunione che non si esaurisce in un rapporto io-tu esclusivo, ma un io-tu disponibile ad accogliere il “noi”. Senza passione per l’altro, per gli altri, non siamo più umani.

Sarebbe un grave fraintendimento dire che siamo della pasta di Dio, del suo sangue, figli suoi. Lo siamo se nel nostro DNA c’è l’uno per l’altro, mai senza l’altro.

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