Meditiamo sulla Parola – Corpus Domini anno A

Tommaso Montanari nella sua ultima opera scrive: “Migliaia di chiese sono oggi inaccessibili, altre sono trasformate in attrazioni turistiche a pagamento. Non sappiamo cosa farcene di tutto questo ben di Dio. Manca la visione, la prospettiva di un futuro diverso. Umano”

La chiesa in Occidente prevede per il futuro una drastica trasformazione già in atto.

Secondo le statistiche un italiano su quattro è convinto che la Bibbia è stata scritta da Mosè. Il 20% ritiene che l’autore sia Gesù. Il 51% non sa chi ha dettato i Dieci comandamenti. Eppure, solo il 15% si dichiara non credente.

Il sentimento religioso poggia su tracce cristiane infantili. Occorre ridimensionare e, se è il caso, annullare quelle attività non essenziali per investire energie e forze nelle cosiddette quattro perseveranze della chiesa delle origini:

  1. l’insegnamento degli apostoli;
  2. la comunione;
  3. la preghiera;
  4. lo spezzare il pane.

Un detto rabbinico dice: “Un uomo si riconosce da come spezza il pane”.

Stando così le cose si può arrivare ad una chiesa che non fa niente altro che celebrare Messa (messificio).

Nella Liturgia la fede è confessata, nutrita, confermata, custodita, trasmessa. La liturgia coinvolge l’uomo in tutte le sue dimensioni. Il mistero lo si ascolta, lo si vede, lo si tocca, lo si gusta, lo si odora.

Oggi l’assemblea orante, soprattutto i giovani, richiede una liturgia gioiosa, ma non festaiola, sapienziale, ma non incomprensibile.

Papa Francesco con forza ripete: “L’Ars celebrandi non si nutre di chiacchiericcio. Non va strumentalizzata per nessun motivo”.

Si può dire della Messa quello che San Bernardo dice dell’amore: “Amor sibi sufficit” (“L’amore basta a se stesso”).

Il Concilio insiste sulla partecipazione attiva dei fedeli. Una sana partecipazione richiede equilibrio tra mensa della parola e mensa del pane. Al termine di una celebrazione, il fedele dovrebbe dire: ho vissuto una vera esperienza spirituale che mi ha nutrito come uomo e come credente.

Quando parliamo di mistero non facciamo riferimento a qualcosa di misterioso. Gesù racconta/narra Dio con gesti e parole pienamente comprensibili anche alle persone più semplici. La frazione del pane, il bere il vino al calice, distribuire la comunione, sono gesti semplici che lasciano trasparire il senso e lo scopo profondo della nostra esistenza. Rendere tutto spettacolo, fondare tutto sulle emozioni è un tradimento del vero sentire cristiano: l’essenziale è invisibile agli occhi. La liturgia spettacolo non incanta più nessuno. La nobile semplicità indicata dal Concilio non equivale a sciatteria. Siamo troppo preoccupati di come si partecipa e non come si vive ciò che si celebra. Questo vale per ogni cristiano.

La comunione comporta la condivisione dello spazio che abitiamo, del tempo che è a nostra disposizione, delle parole che pronunciamo e ascoltiamo, del cibo di cui ci nutriamo. Una vera comunione (intesa come unione con) accresce la gioia, diminuisce il dolore, realizza i sogni.

La solennità odierna, del corpo e sangue di Cristo, con la sua gratuità, offra una pausa al nostro rumore.

Con la sua gratuità, metta in discussione la nostra fede nel mercato.

Con la sua apertura a tutti, contraddica la nostra paura della diversità.

Con la sua dimensione collettiva, metta in crisi il nostro egoismo.

Con la sua viva compresenza dei tempi, metta in crisi la dittatura del presente.

Con la sua povertà, dia testimonianza contro la religione del successo.

Sia di aiuto a vivere in un altro modo.

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