Meditiamo sulla Parola – XIII domenica tempo ordinario anno A

Ciò che noi cristiani abbiamo di più caro nel cristianesimo è Gesù Cristo. Ma quale Gesù?

Molti anni fa, un noto catechista, Tonino Lasconi, scrive un’opera che porta il titolo “Gesù il grande rompi”. Chiamare Gesù “grande rompi”, può dare fastidio a molti, può sembrare irriverente, può scandalizzare.

Il cristiano è colui che non ha paura ad incontrare il “grande rompi”. Non è questione di apporre una etichetta, piuttosto si tratta di conoscerlo per innamorarsi di lui per diventare “rompi” come lui.

Costantemente occorre chiedersi: “Com’è Gesù?” Non tanto fisicamente, ma come carattere, come comportamento. Come reagisce Gesù alle situazioni che si presentano? Dare una risposta a questa domanda è importante.

Il cristiano, infatti, non è solo chi crede in certe cose o chi non fa certe cose, ma è colui che accetta di diventare discepolo di Gesù, di vivere come Lui. Si tratta di imitare parole e opere del rabbi di Nazareth.

Come si fa a vivere come Lui?

Noi, nella relazione col divino, siamo influenzati da quadri, da statue che portano all’idolatria, al servizio di divinità che non parlano, non vedono e non ascoltano. Il cristiano è chiamato a passare dalla idolatria alla fede.

Secondo un nostro immaginario, Gesù è una persona tranquilla, remissiva, rassicurante. I Vangeli non vanno letti superficialmente, ma occorre leggerli con cervello sveglio. Non bisogna conformarsi a quello che fanno tutti per non vivere da intruppati, ma agire da protagonisti che pensano e fanno quello che è giusto e buono.

Quando Gesù percorre le strade della Palestina, involontariamente crea confusione. Lo scontro con le autorità è immediato. Grossi fardelli soffocano la povera gente, si rischia di predicare bene e razzolare male. Dinanzi alla presenza di Dio non ci sono “puri” o “impuri”. Nessuno è autorizzato a disprezzare ciò che è uscito dalle mani di Dio.

Il Maestro non è tenero neppure con la folla che lo segue. Ad un certo punto chiarisce: “Chi vuole venire dietro a me disconosca se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Questa è la prima richiesta posta al discepolo nella sequela del Servo.

Gesù si mostra imprevedibile, originale, capace di rompere gli schemi che non promuovono l’uomo, ma lo sottomettono a chi è senza nome. Non plagia le persone, non le circuisce. Nei suoi incontri non si ferma ai difetti, ma guarda ai pregi di ciascuno. Nessuno potrà incontrarlo se rimane prigioniero di sé stesso. Non ricorre al “Tu devi” ma rimane fedele al “Se vuoi” (Si vis).

Nella vita nulla si ripete, tutto è inedito. Le ore, i giorni, gli anni e ciò che essi offrono, non sono fotocopiabili né riciclabili, ma sono irripetibili. O li vivi da protagonista o li perdi. “Le parole volano, i fatti restano”. Per questo l’impegno di ciascuno, soprattutto degli uomini di fede, è un impegno a recuperare ciò che è offuscato, minacciato, cancellato dalla malattia, dalla emarginazione, dalla morte. Gesù è specializzato nel cogliere i gesti belli e positivi e rifiutare ciò che è volgare, banale e falso.

Il discepolo non ha paura di punizioni, ma con gioia imbocca la strada giusta. Il Figlio dell’uomo è felice di condividere la gioia della fanciulla che torna rifiorita, della donna che ritrova il gusto di camminare eretta. Bisogna imparare, sull’esempio di Gesù, a guardare il mondo con i suoi occhi, fare di tutto per avere una vita bella per recuperare quella bellezza che, spesso, viene nascosta e deturpata.

Per una vita autenticamente umana ricordiamo le parole del poeta greco C. Kavafis: “Se non puoi avere la vita che desideri, cerca almeno di non sciuparla nel troppo commercio con la gente, con troppe parole e in un viavai frenetico. Non sciuparla portandola in giro in balia del quotidiano gioco balordo degli incontri e degli inviti, fino a farne una stucchevole estranea”.

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