
Meditiamo sulla Parola – XV domenica del tempo ordinario anno A
“Il Cielo e la terra passano, la mia Parola non passa mai”.
Questa frase di Gesù caratterizza la vita cristiana. La fede per essere tale deve fondarsi sulla potenza della Parola. Questa va in crisi se perde il contatto con le radici. Resta salda se animata da una preghiera robusta.
La Parola di Dio, contenuta nelle Scritture, trova il suo spazio naturale nella Lectio Divina personale e comunitaria.
Accogliere la proposta di dialogo che il Signore instaura è un atto di fede. È riconoscere di non bastare a sé stesso, di avere bisogno di una Parola ruminata, che chiama, illumina, nutre di senso.
La centralità della Parola spinge ad interrogarci su alcuni ambiti fondamentali.
- PAROLA E PAROLE.
Diciamo, ascoltiamo ogni giorno una miriade di parole, chiacchiere vuote che non lasciano traccia. Le parole sono dispersive quando mancano di un principio unificante. Una corretta sintesi può portare a tacere. Occorre mettere a tacere il multiloquio. Il Papa parla di “chiacchiericcio”.
Fare memoria, ripetere ad esempio il versetto del vangelo durante la giornata è un esercizio molto semplice ma anche molto efficace. Ricorda una verità basilare: siamo uni-totalità.
- PAROLA E TEMPO.
Fare un esame di coscienza corretto e confrontarsi con degli interrogativi che inquietano: “Quanto tempo dedico all’ascolto del Vangelo?” “Quanto tempo dedico ai mezzi di informazione: tv, internet, telefono…?”.
Tutti dobbiamo misurarci con la realtà del tempo. Occorre passare da kronos, tempo senza crescita, a kairos, tempo pieno.
L’anziano deve dare tempo alla preghiera, ed evitare stanchezza e insofferenza. Il giovane, invece, deve sforzarsi di non ricercare preghiere approssimative, liturgie sbrigative, messe strapazzate.
La fede non si misura col cronometro, non è una gara di velocità.
La Parola di Dio aiuta a essere libero da legami impulsivi, dall’umore che cambia continuamente, dal lamento facile. Un corretto pregare comporta porsi davanti all’unico Signore per realizzare la sua volontà. È sempre ricorrente il pericolo dell’idolatria, il ricorso al vitello d’oro che asseconda i nostri bisogni. L’idolo asseconda, non educa. Solo scegliendo l’unico Signore contestiamo la molteplicità degli dèi.
In tutto questo, si richiede una grande familiarità con il silenzio.
I nostri giudizi non seguono le mode, non si pongono al servizio di ciò che è “politicamente corretto”. Le parole banali appartengono al sentire comune. Il credente si esprime con parole profetiche.
Gandhi: “Meditare significa attendere Dio”. Attendere, dal latino “da tendere ad” , è ricercare una meta. Questa fiducia e attesa è propria di ogni educatore che non si arrende alla paura. Non stancarsi di seminare.
Samuel Beckett: “Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discuto. Prova ancora. Fallisco ancora. Fallisco meglio”.
L’efficacia non è immediata, non ottiene risultati magici. Occorre accogliere il dono/seme, anche se dismesso e modesto. Il cristiano non si limita al voto di castità, di povertà, di obbedienza ma fa suo il voto di vastità.