Meditiamo sulla Parola – XXVII domenica tempo ordinario anno A

Dopo la 25° e 26°, anche questa 27° domenica del tempo ordinario (anno A) presenta l’immagine della vigna, simbolo di Israele. È una pagina dai toni cupi: dopo l’ingresso a Gerusalemme, Gesù sente che la sua morte si avvicina, e il confronto con chi lo avversa diventa più esplicito e aspro. Ha di fronte i capi dei sacerdoti, gli anziani del popolo, i farisei, e a loro, responsabili della guida di Israele, è diretta la parabola narrata. Tuttavia il messaggio in essa contenuto deve interpellare ognuno di noi.

La parabola è un espediente per indurre a riflettere, a comprendere la verità su sé stessi, là dove una denuncia diretta porterebbe l’interlocutore ad irrigidirsi e a rifiutarsi di ascoltare. Quella odierna descrive una serie di azioni che il padrone compie impiantando la vigna (piantò, circondò, scavò, costruì), segno della cura e dell’attenzione che le dedica. Poi, il proprietario della vigna si allontana, dando ai contadini il compito di coltivarla. La sua assenza non è disinteresse; infatti, a tempo debito manda dei servi e “da ultimo” il figlio per averne i frutti. Ma il rifiuto dei contadini giunge fino all’omicidio.

Nella figura del proprietario riconosciamo Dio Padre, nella vigna il popolo ebraico, nei contadini le guide religiose di Israele. I servi inviati raffigurano i profeti, il cui compito è quello di ottenere che la vigna-Israele produca frutti di conversione: cercare la giustizia, schierarsi dalla parte degli oppressi, sostenere l’orfano e la vedova, dare il pane all’affamato, una casa ai senza tetto… Ma non sono questi i frutti che i profeti trovano. Al posto dei frutti, solo riti vuoti, olocausti, sacrifici, incensi, che non corrispondono ad una conversione di vita.

Contro una ritualità sterile si schiera anche Cristo, il Figlio mandato “da ultimo”, cioè come tentativo definitivo. Poco prima, nel vangelo di Matteo viene riportato l’episodio del fico che Gesù rende sterile perché, anziché produrre frutti, si è ammantato solo di foglie. Le foglie rappresentano l’apparenza con cui si tenta di nascondere l’assenza dei frutti.

Gesù non conclude la parabola, ma porta gli interlocutori a dare un giudizio sulla situazione e, di conseguenza, su loro stessi. Quella che emerge dalla risposta degli interpellati è l’idea di un Dio che seguirebbe logiche umane di castigo e vendetta. Ma non è questo il Padre che Cristo viene a narrarci. Il Dio di Gesù Cristo ha un progetto di bene che non può essere distrutto dal rifiuto dell’uomo, anche se ostinato e violento. Quel Figlio ucciso, “pietra scartata”, diventerà “pietra d’angolo” per la costruzione che il Padre ha previsto e che, comunque, porterà a compimento con la collaborazione di chi si dimostrerà responsabile nei confronti della sua vigna.

Pagina buia nei versetti iniziali, si apre alla speranza nella parte finale.

Ci lascia molti spunti di riflessione. Ne proponiamo alcuni.

  • Quella vigna che è la nostra vita produce frutti, o talvolta nasconde delle sterilità dietro rigogliose foglie?
  • Coloro che vengono a chiederci giustizia e l’essenziale per vivere sono servi inviati dal Signore proprio per verificare se sono cresciuti in noi frutti di conversione. Cosa trovano?
  • Quante voci profetiche dei nostri tempi rimangono inascoltate e spesso sono osteggiate perché scomode?
  • Sappiamo anche noi, come comunità cristiana, come società, partire proprio dagli ultimi, dalle “pietre scartate” per costruire edifici di convivenze più giuste, umane, solidali, fraterne?

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