Meditiamo sulla Parola – XXXIII Domenica tempo ordinario anno A

Siamo all’ultima domenica del tempo ordinario e con la festa di Cristo Re si conclude l’anno liturgico A. La parabola proposta dalla liturgia è la parabola dei talenti. Anche questa è inserita in un discorso escatologico come quella precedente (la parabola delle vergini) e quella di domenica prossima del discorso di Gesù sul Giudizio finale.

Già a una prima lettura, si può osservare notato che la vicenda si sviluppa in tre momenti:

  1. consegna iniziale, dove si tratteggia la situazione, un padrone prima di partire per un lungo viaggio affida in custodia i suoi beni a tre servi;
  2. modo di agire dei servi in assenza del padrone;
  3. resa dei conti al ritorno del padrone.

1. Il padrone, si presume molto ricco, affida i suoi beni ai tre suoi servi: cosa sono questi beni? Dei talenti. Non sono monete ma un’unità di peso (dai 35 ai 43 kg d’argento) come dei lingotti. Quindi ancora come in altre parabole precedenti, il Signore affida un valore enorme ad ogni servo, Dio infatti non lesina con nessuno ma dà sempre in abbondanza. I beni, Dio, non li ha dati ma li ha affidati, cioè, aveva fiducia che i servi della parabola li avrebbero fatti fruttificare. Da notare che egli non consegna i propri beni dividendoli in parti uguali, ma in base alle capacità di ciascuno e quindi non per un trattamento di preferenze come fu nella genesi nella storia dei figli di Giacobbe. Cosa rappresenta il talento? Noi siamo abituati a dire “una persona di talento” per indicare le sue doti naturali. Qui per talento si intende qualcosa di più, è qualcosa di più profondo: Dio ogni giorno ci offre delle occasioni affinché, grazie alle nostre capacità, queste occasioni fioriscano. Pertanto, avendo ricevuto in affidamento i beni, i servi sono chiamati ad assumersi delle responsabilità. Ne sono affidati a ognuno e ad ognuno è chiesto di giocarseli bene, mettendoci impegno, facendone lo scopo della vita. Dio ci dona un tempo e uno spazio per far fruttificare i nostri talenti. Un frammento di tempo è un pezzo della nostra vita e come diceva S. Francesco di Sales “Ogni istante di tempo viene a te da Dio con un dovere da compiere e una grazia per compierlo bene e ritorna a Dio per essere per sempre ciò che tu ne hai fatto.”

2. Cosa fanno i servi dopo aver ricevuto in affidamento i talenti?

Ora spetta ai servi non tradire la fiducia del padrone e operare una sapiente gestione dei beni. I primi due non aspettano, non hanno nessuna titubanza o ripensamento, – “subito” si danno da fare – sono convinti di ciò che devono fare e della grande responsabilità di cui sono stati investiti. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone».

3. «Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò… 

Il padrone dimostra al primo e al secondo servo che hanno raddoppiato i talenti tutta la sua compiacenza. Sono stati leali e fedeli, ciascuno in proporzione del denaro ricevuto e della loro abilità, «il poco»: saranno ricompensati tutti e due nel «molto» con grandi onori e promozioni. Il terzo servitore espone anzitutto il giudizio che ha del suo padrone. Lo ritiene un personaggio esoso e intransigente, «che miete dove non ha seminato» e che sarebbe stato capace di esigere il suo talento anche nell’eventualità di una qualsiasi perdita. Non ha quindi osato trafficarlo. Altro che servo abile e devoto! Non ha tenuto conto del suo desiderio e della sua fiducia. Non ha osato correre il minimo rischio per accontentarlo. Si è lasciato guidare solo dal suo egoismo e dalla paura; era così semplice mettere a frutto la sua somma presso un fidato banchiere per ricavarne almeno gli interessi! Così, non essendo stato ritenuto degno, viene espulso dove è tenebra e strider di denti.

Responsabilità è la parola chiave per cogliere la differenza di comportamento tra i due tipi di servi nella parabola evangelica: il servo buono e fedele (Mt 25,21.23) e il servo malvagio e pigro (Mt 25,26). La responsabilità cristiana è coscienza del dono ricevuto e fedeltà ad esso. Anzi, più radicalmente, fedeltà al Donatore. Il denaro affidato dal padrone ai suoi servi significa il dono della vita accordato da Dio agli uomini. Dono che è anche compito e che chiede di non essere sprecato o ignorato o disprezzato, ma accolto con gratitudine attiva e responsabile. In questa luce vi è un aspetto del giudizio che incombe su chi non ha fatto fruttare i talenti ricevuti che non ha a che fare anzitutto con la prospettiva escatologica (Mt 25,30), ma già qui e ora con il rischio di sprecare la vita, di non viverla, di sciuparla «fino a farne una stucchevole estranea» (Constantinos Kavafis). Il rischio è quello di una vita insignificante, di una vita non vissuta. Entrare nella logica del paragone e magari nella recriminazione, distoglie l’uomo dall’unica attività veramente sensata: conoscere sé stesso e conoscere Dio, il Donatore, riconoscendo e accogliendo i doni ricevuti.

Contrario di fedeltà (Mt 25,21.23) nella parabola, è pigrizia (Mt 25,26). Il pigro è colui su cui non si può fare affidamento, colui che delega, che spreca il proprio tempo, l’irresponsabile, colui che non assume la vita e la fede come compito di cui rispondere a Dio. Dio vuole che l’uomo viva e cerchi la felicità, che osi la propria unicità e la propria umanità, che non si lasci paralizzare da paure e da immagini di Dio distorte. Il dono impegnativo che Dio affida all’uomo è anche la sua fiducia nei confronti dell’uomo.

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