Meditiamo sulla Parola – Cristo Re dell’universo – anno A

In quest’ultima domenica del Tempo ordinario dell’Anno A, Festa di Cristo Re, viene proclamata la pagina del Vangelo nota col nome di “giudizio finale” (Mt 25, 31-46) che segue la parabola delle dieci vergini (Mt 25,1-13) e dei talenti (Mt 25, 14-30) e che precede il racconto della passione e della risurrezione: “Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli: “Voi sapete che fra due giorni è la Pasqua e il Figlio dell’uomo sarà consegnato per essere crocifisso” (Mt 26, 1-2). Nell’introduzione si colgono i temi principali che caratterizzano il brano: la venuta del Figlio dell’Uomo nella gloria, il Cristo presentato come re, i temi del pastore e del giudizio come separazione. Il quadro del giudizio finale abbozzato da Matteo si presenta come ‘universale’ (v.32), riguarda tutti gli uomini senza eccezione e senza privilegi, il criterio sulla base del quale è formulato il giudizio è il comportamento avuto nei confronti dei più piccoli, vale a dire nei confronti di ogni uomo che si trova nel bisogno. Il dato concreto sulla base del quale gli uomini saranno valutati consiste in sei atti elementari di misericordia: nutrire l’affamato, dar da bere all’assetato, accogliere lo straniero, vestire colui che è nudo, visitare il malato e il carcerato. Questi sei gesti hanno due caratteristiche che li accomunano. Da una parte portano il segno dell’evidenza: dinanzi ad un affamato o ad un assetato non è necessario aver frequentato un maestro o aver fatto studi particolari per capire ciò a cui si è chiamati. Dall’altra, questi sei gesti si impongono per la loro urgenza: le situazioni di bisogno richiedono un intervento immediato altrimenti diventano irrimediabili. Sono il prolungamento e l’illustrazione del comandamento dell’amore.

Ciò che è rivoluzionario è che lo stesso giudice (il Re) si considera oggetto di tali azioni (“Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare”, oppure “non mi avete dato da mangiare”), identificandosi come “uno qualsiasi di questi (miei fratelli) più piccoli”. Il giudizio finale, secondo Matteo, è dunque un giudizio universale (di “tutte le genti”, sia che abbiano riconosciuto il Signore, sia che non l’abbiano riconosciuto), il cui metro consiste nella misericordia usata verso i più bisognosi, i quali sono quasi un “sacramento” della presenza storica del Figlio dell’Uomo. Dio ha disegnato nella storia un suo progetto di salvezza; alla sua attuazione convoca anche l’uomo attraverso l’impegno dell’amore. La meravigliosa tela della salvezza è intessuta anche da tante mani anonime che si sono messe in sintonia con quelle del Cristo: esse hanno preparato cibo per gli affamati, un bicchiere per gli assetati, un vestito per chi era nudo, hanno stretto in un abbraccio il carcerato e il malato, hanno spalancato la porta al forestiero. Ma la tela della salvezza è squarciata da chi ignora il grido del fratello sofferente, da chi resta chiuso nel suo gretto egoismo.

La pagina evangelica spinge ad aprire gli occhi sulle povertà di sempre, nelle loro antiche e nuove edizioni, sapendo che il Signore non solo è dalla parte dei poveri (per proteggerli), ma si identifica con essi e li considera suoi “fratelli” privilegiati. Si tratta di una strada facile e difficile insieme. Facile perché accessibile a tutti. “I poveri – dice il Vangelo – li avete sempre con voi”, e anche chi non ha soldi da condividere può sempre elargire un sorriso, una stretta di mano, un gesto di amicizia che fa sentire meno squallida la povertà. Difficile, perché è indispensabile che uno abbia fatto della “Carità” la propria opzione fondamentale; la scelta prioritaria degli “ultimi” deve essere il vanto e l’ambizione di ogni comunità.

 

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