Meditiamo sulla Parola – XVII domenica del tempo ordinario anno B

A cominciare da oggi e per quattro domeniche, la liturgia offre il racconto della moltiplicazione dei pani tratto dal Vangelo di Giovanni. La pagina evangelica non vuole essere solo una cronaca, ma, come sempre in Giovanni, la rivelazione di Dio in Gesù.

Il Rabbi di Nazaret è attento alla folla, definita da Marco come “pecore senza pastore”, sbandata e tuttavia alla ricerca. È un gregge che dimentica perfino di mangiare perché ha una fame ancora più profonda, che è quella della Parola.

Gesù va incontro al bisogno di questa gente. Anzitutto mette alla prova la logica umana con un’altra logica di cui lui è portatore. Chiede a Filippo, che è il logico del gruppo: “Dove possiamo comprare i pani?”. Filippo dà la risposta esatta, quella che noi chiameremmo realista: duecento denari non bastano a garantire un pezzo di pane a tutti. Duecento denari era la paga di sette mesi di lavoro.

Gesù poi va dal ragazzo che ha cinque pani d’orzo, sono i pani dei poveri, pane non pregiato, e due pesci del lago. Il vangelo di Giovanni usa la stessa parola dell’Ultima Cena. Qui è tradotto: distribuì i pani e i pesci a quelli che “erano seduti”, ma la parola nel testo originale è: ai “commensali”, gli stessi che divideranno con lui l’Ultima Cena. Il segno è dato: questo pane più che saziare la fame dello stomaco, è il pane che sazia in “profondità”. Il mistero comincia a rivelarsi nell’impotenza dell’uomo (pochi pani) e la povertà di ciò che può dare.

Gesù ha chiesto all’uomo tutto quel poco che ha. Cristo chiede il nulla che siamo, il nulla che possiamo, perché vuole averne bisogno. Non si fa niente senza questo coinvolgimento al quale siamo chiamati a rispondere. Il dono si rivela nella sua pienezza là dove il nostro nulla fa superare la volontà di possesso.

Pensate se il ragazzo avesse detto: “Ma questi pani e questi pesci sono miei”. Avrebbe semplicemente rivendicato una cosa ovvia.

Ecco il segno del coinvolgimento al quale il Signore chiama: il miracolo della condivisione. Ciò che noi condividiamo con gli altri è sempre poco e niente, ma condiviso attraverso il dono è un miracolo, si moltiplica e diventa inarrestabile. Dei cinque pani e due pesci rimane una serie di dodici canestri riempiti fino all’orlo. Ecco la logica diversa a cui siamo chiamati, diversa da quella mercantile espressa rigorosamente da Filippo.

La nostra società sta realizzando un mondo nel quale la parola “mio”, e l’atteggiamento che in questa parola è espresso, sta diventando l’unica regola di vita che condanna alla fame e ad una vita senza dignità milioni di persone.

Cosa possiamo fare? Cominciando a condividere anche due pani, un pane, mezzo pane, noi cambiamo il mondo.

Purtroppo, la folla non ha capito il messaggio e voleva fare Gesù re, dicendo: Abbiamo trovato colui che risolve i nostri problemi, incarichiamo lui. Lettura molto rassicurante. Invece no, il Signore a questo si è sottratto e finisce (come spesso accade) nella più totale solitudine, lui che sembra essere addirittura stordito dalla gente. Ma la folla ha capito bene che questo pane, diventato sovrabbondante nella condivisione, esige da loro che ancora lo condividano, lo spezzino.

Questo spezzare ha riempito le dodici ceste. E noi abbiamo ceste vuote perché siamo attaccati ai nostri pochi pani e ci pare che condividerli non risolva nessun problema e ci sentiamo esentati. Ai governanti diamo l’incarico di occuparsene. Questo è un fallire la vita cristiana perché noi la domenica siamo radunati da Cristo che rivolge a noi lo sguardo della misericordia e continua a spezzare il pane, a spezzare la Parola, a darci il perdono e a chiamarci insieme nonostante la nostra indegnità.

Dobbiamo ricordarci di questo e viverlo per essere segno nel mondo, non segno che si esibisce, ma segno che condivide. Di questo c’è bisogno e urgentemente.

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