
Meditiamo sulla Parola – XVIII domenica tempo ordinario anno B
Dopo il racconto della moltiplicazione dei pani e dei pesci, comincia un lungo capitolo, tra i più alti del Vangelo di Giovanni che si dipana e tocca alcuni punti fondamentali della nostra fede.
Dopo essersi saziata, la folla si mette alla ricerca di Gesù. Non hanno inteso cosa c’è dietro al segno della moltiplicazione/condivisione dei pani, lo cercano semplicemente perché hanno mangiato gratuitamente. Il rabbi di Nazaret porta il discorso su un altro piano e incomincia ad instillare in loro il percorso della verità e dice: “Io in realtà sono in grado di darvi non il pane che perisce, che lascia mortali, ma un cibo che dura per la vita eterna; un cibo che fa essere portatori della stessa vita di Dio”.
Ma ancora il fraintendimento della moltitudine! “Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?”. In realtà la domanda è: “Quanto costa possedere quello che tu stai dicendo?” In che modo possiamo meritare questo? “Meritare” significa compravendita, un voler contrattare nei confronti di Dio.
Gesù li spiazza.
L’opera sola da fare è questa: credere in colui che egli ha mandato. È semplice dire: “Fai queste sette cose, quando le hai fatte tutte avrai il paradiso, sarai figlio di Dio”. Gesù invece li rimanda alla fede in lui.
Sorge la domanda: Che segni fai, che opera compi? La folla narra l’episodio nel quale Mosè fa scendere dal cielo la manna nel deserto. Ma Gesù con audacia dice: “Attenti, ancora non avete capito. Non fu Mosè che vi saziò, ma il Padre mio è colui che vi ha saziati, che sta cercando oggi di sfamarvi definitivamente attraverso il pane del cielo che sono io”.
Notate il passaggio: chiedono dei segni, delle opere, ma Gesù cortocircuita tutto e dice: “Non devo fare altro per accreditarmi ai vostri occhi. Sono io l’unico segno, voi avete la vita se mangiate questo vero pane”.
Attenzione, qui non è ancora il tema dell’Eucarestia, come sarà verso la fine del capitolo sei, si tratta invece di “mangiare la Parola”, la manducatio fidei.Purtroppo, siamo poco nutriti della mensa della Parola e questo anche per una sciatteria liturgica.
Nel Primo Testamento Ezechiele è “costretto” ad ingoiare la Parola di Dio, amarissima all’inizio, dolcissima alla fine. Questa Parola digerita, metabolizzata, diventa carne della nostra carne, sangue del nostro sangue, pensiero dei nostri pensieri.
Ecco allora la domanda: Noi che da anni incontriamo il Signore nella lettura quotidiana delle Scritture e in modo particolare nella liturgia domenicale, a che punto di manducazione siamo arrivati?
Ci rechiamo in chiesa, preghiamo, viviamo i Sacramenti – tutte cose sacrosante, importanti – ma non è detto che cerchiamo il Signore. Spesso ci interessa più qualcosa che non Lui. La lettura delle Scritture, la pratica cristiana o conduce a Cristo, ad avere i suoi stessi sentimenti, a vivere come lui ha vissuto, oppure è solo cultura e rischia di diventare la piuma di pavone di cui vantarsi.