Meditiamo sulla Parola – XIX Domenica del tempo ordinario anno B

Portiamo la nostra attenzione sul v. 51 che conclude la pericope odierna. «Io sono il pane…» dice Gesù. Siamo qui in presenza di auto-definizione che il quarto Vangelo pone sulle labbra del Signore. Il Nome di Dio – l’Io sono – si declina nella fragranza ordinaria e quotidiana del pane.

Per narrare la con-discendenza e la prossimità della misericordia di Dio, il Figlio si fa pane. Realtà fragile ed essenziale per la vita di tutti i giorni (“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”). È un pane che si affaccia dal cielo e germoglia dalla terra (cf. Sal 85,12), nella carne mortale dell’uomo Gesù Cristo, che ci ha lasciato il memoriale della sua vita e della sua pasqua/passaggio di morte e resurrezione nel segno vivente del pane e del vino che stanno sui nostri altari/mense quale «frutto della terra e del lavoro dell’uomo» (Messale Romano).

Gesù dona il suo corpo da mangiare perché noi lo assimiliamo completamente: quel cibo diventa parte del nostro stesso corpo e, misteriosamente, ci assimila a sé, ci rende con-corporei con il Corpo di Cristo.

Admirabile commercium è la formula che i padri della chiesa usano per sintetizzare lo ‘scambio miracoloso’ tra il divino e l’umano, per cui Dio assume la natura/carne umana, affinché l’essere umano sia divinizzato. Uno scambio impari, tutto a vantaggio dell’uomo e realizzato solo per amore e per grazia. Mai per merito.

Il Cristo si consegna, «si arrende» – per così dire – «“nella” forma del pane e del vino», in un corpo donato senza riserve, perché gli uomini se ne nutrano e vivano. Ma in questo meraviglioso scambio, urtiamo anche contro la plasticità del linguaggio di Gesù che scuote, nella sua concretezza… «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (Gv 6,52). Gesù parla così della sua umanità totale, fatta di carne fragile e vulnerabile, che sarà data in pasto alla violenza degli uomini.

«Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo», dice ancora. Ecco la meta del dono di Cristo che qui e ora dischiude per noi la porta della vita eterna. La carne di Gesù si incontra nei Sacramenti e nel sacramento del fratello, sul volto ferito dei sofferenti e nel gemito dei poveri.

L’Eucaristia ricorda che «i corpi sono doni, e i doni vanno ricevuti per essere donati di nuovo. I nostri corpi ci sono donati affinché impariamo a darli a un altro con rispetto, fedeltà, vulnerabilità e senza riserve. Così “trasmettiamo il dono che noi stessi siamo” (T. Radcliffe).

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