Meditiamo sulla Parola – XXI Domenica del tempo ordinario anno B

Termina con questa pericope, la lunga meditazione del Vangelo di Giovanni sul pane di vita (capitolo 6).

È un finale drammatico, con il distacco, la frattura del gruppo dei discepoli. Cosa ha detto di così duro, di così urtante e incomprensibile Gesù da creare una separazione tra i suoi discepoli, cosicché alcuni da quel momento si tirano indietro? Lo stesso Giuda da quel momento non sarà più dalla parte del Signore pur continuando a stare nel gruppo dei discepoli.

Cosa è successo?

Il Rabbi di Nazareth, a partire dal segno del pane moltiplicato/condiviso e dato a tutti, vuole condurre i commensali di quel cibo, gli ascoltatori della sua Parola, a capire che lui è portatore di Vita, che lui e non la manna è davvero il pane disceso dal cielo, che in lui è la pienezza di vita che Dio dona all’umanità.

Se si vuole giungere ad una fede matura occorre lasciarsi scandalizzare dalle parole di Gesù.

Innanzitutto, occorre fare questo passaggio: dalla facilità del mangiare gratis, che entusiasma sempre tutti, a metabolizzare, far diventare carne della nostra carne la sua Parola, cioè Lui.

Il secondo passaggio è accogliere la vita di Dio. Essa non è una conquista che facciamo. Nessuna illusione: non si parte dalla terra e si raggiunge il cielo, ma è il cielo che viene sulla terra, nella nostra carne umana attraverso l’umanità di Gesù. Questa pretesa scandalizza perché è l’unica strada. Una pretesa dalla quale tutti ci difendiamo spesso. Di fronte all’assoluta richiesta di Dio, noi lo mescoliamo con idoli che danno solo illusioni. La Via tra il Padre e gli uomini si inserisce qui e ora nella nostra vita, salvaguardandola dalla morte e dalla disperazione.

Chiediamoci: quanto spazio diamo alla “pretesa” che ha Cristo di essere la Vita, il datore di Vita per conto del Padre?

Di fronte al rischio di essere abbandonato da tutti, Gesù dice: “Volete andarvene anche voi?”. È disposto a rompere fino in fondo. È questo il punto. Ritraduciamo questa domanda per noi che abbiamo probabilmente delle adesioni parziali a lui: Ti decidi, senza compromessi, a seguirmi? Ti getti nell’avventura con me o sei ancora lì a calcolare?

Pensiamo ad un visitatore straniero che viene da un altro contesto di fede, guardandoci cosa capirebbe? Un’adesione forte a Gesù, il Cristo? Capirebbe una scelta di vita che pur non riuscendo ad essere coerente, perché certamente faticosa, sentirebbe questa tensione?

Ecco la domanda che Cristo oggi fa. Sono due le vie: decidersi per il Signore o lasciare. A mezzo servizio non durano nemmeno le compagnie da ballo, si sfaldano.

La domanda del Maestro doni uno stimolo, non un’angoscia, doni una gioia che toglie tutte le incertezze, le stratificazioni polverose di una fede che è più di routine ma non di sostanza. Se è stanca ripetitività non darà nessuna gioia, perché vissuta sempre come osservanza di Comandamenti.

Chi gioisce per un comandamento? Ma se incontreremo il volto di Cristo, i suoi occhi, la sua voce, se le sue mani ci toccheranno, noi avremo la gioia, anche se totale sarà la sua esigenza.

Le cose che danno davvero le grandi soddisfazioni non sono mai il prodotto di piccoli conti, di furberie, di piccoli o grandi sconti, sono il prodotto di scelte radicali. Cristo chiede tutto ma ci fa essere noi stessi, senza maschere.

Questa è la scommessa che il Signore pone davanti, questa è anche la gioia che è posta davanti.

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