Meditiamo sulla Parola – XXIII Domenica del tempo ordinario anno B

Quando il Vangelo dà delle coordinate geografiche, come in questo caso, vuol fare passare un’idea teologica.

Gesù ritorna dalla regione di Tiro, passa per Sidone e attraversa la Decapoli. Forse quasi nessuno  sa dove sia questa regione. Sono tutti territori pagani di cultura greco-romana, popoli che non conoscono la Parola di Dio. Nella pericope di questa domenica è narrata la guarigione di un sordomuto che non può parlare e non può ascoltare. Non ha la possibilità di relazionarsi. L’unico  rimedio a questa chiusura apparentemente impenetrabile è il tatto e il Signore lo tocca, accettando di seguire l’unica via di comunicazione che rimane aperta. Qui la carne si fa via di salvezza secondo l’antico adagio  di Tertulliano: “caro cardo salutis”.

Il Vangelo non è un contenuto intellettuale per quanto nobile. Esso richiede necessariamente il contatto con ciò che è male e aliena l’essere umano. Gesù lo porta in disparte, lontano dalla folla, perché il segno, opera di Dio, non si trasformi in un fenomeno da baraccone, che oggi occuperebbe telegiornali, rotocalchi e pagine di giornali. Effatà (termine aramaico) è la parola che apre il cuore. La stessa la si dice nel battesimo: il sacerdote tocca le labbra e le orecchie del bambino battezzato: “Apriti” perché tu possa ascoltare, accogliere la Parola.

Le nostre parole se nascono dalla Parola avranno forse qualche senso, altrimenti è chiacchiericcio disturbante se non proprio anestetizzante, che è peggio. “Apriti il cuore, non avere paura” dice ad ognuno di noi il Maestro. Noi dobbiamo avere questa apertura, anche se siamo lontani da Gesù perché non lo conosciamo abbastanza.

Occorre fare attenzione a chi si sente dalla parte dei giusti. Può diventare un impedimento affinché Dio li raggiunga. Si sentono a posto, completi. Non è un caso che ogni Eucaristia inizi col riconoscersi bisognosi del perdono. Siamo chiusi, tanti piccoli scatolini ciascuno con il suo coperchio. Di solito è l’atteggiamento comodo di chi vede solo il male e la chiusura diventa una giustificazione per non lasciare la propria comfort zone. Questo è un segno  preoccupante perché non siamo aperti a Gesù. Si tratta di lasciare fare al Signore, di non nascondersi né  difendersi magari dietro le buone opere che uno compie. Solo così le orecchie si aprono all’ascolto per sentire cose mai udite e incominciare a capire cose fino allora temute; a gioire di ciò che prima aveva solo la capacità di turbare. La consolazione del Signore è proprio questa: “ha fatto bene ogni cosa” e chiede a noi di volgere l’attenzione verso la bellezza della vita.

Nelly Sachs, tedesca di origine ebraica dice: “Chi aprirà questi orecchi di uomini, ostruiti di ortica?” immagine stupenda. Il Signore li aprirà, anzi li apre oggi, adesso.

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