
Meditiamo sulla Parola – XXIX domenica tempo ordinario anno B
Il contesto del brano evangelico è l’avvicinarsi di Gesù con i discepoli a Gerusalemme.
Il Signore ripete per la terza volta l’annuncio della sua passione e morte. Tre volte sembrano sufficienti per capire. Ma il problema è proprio questo: anche il messaggio più alto è deformato dalla nostra accoglienza di esso.
La deformazione è legata al fatto che siamo orientati a mettere al centro il nostro io, ad innalzare i nostri presunti pregi (super-io), a cercare l’onore più che il servizio. È la vecchia storia del peccato originale che si può capire bene a partire dagli effetti. Questi sono dentro ciascuno di noi. Nessuno ne è esente. Anche un bambino nel suo piccolo è ben organizzato per essere egoista tanto quanto un adulto, solo che è più chiaro, immediato perché fa capricci. L’adulto invece li razionalizza, li riveste di ragioni sulle quali per primo si autoinganna dandosi motivi che non ci sono.
Cristo parla di un regno che ha una logica diversa.
Avere ricevuto qualità di doni, non significa sopravanzare di grado, essere riconosciuti, riveriti, diventare importanti, ma fare ed essere quello che Gesù è in verità.
Indica due immagini: il calice dell’amarezza e il battesimo. Quest’ ultima è parola greca che significa l’essere immersi, naufragare.
Siamo disposti a naufragare nella volontà di Dio comunque si presenti? Siamo disposti a bere fino in fondo il calice dell’amarezza, dell’abbandono?
Paolo non ha timore nel dichiarare che «Dema mi ha abbandonato» (2Tm 4,10) come pure che «Nella mia difesa in tribunale nessuno mi ha assistito, tutti mi hanno abbandonato» (4,16)
Davanti a noi si aprono due vie.
Dov’è il mio posto? Sono disposto a seguire il cammino di Cristo, a porre i piedi nelle sue orme?
Esaltiamo l’aspetto taumaturgico del Rabbi di Nazaret ma alla fin fine si è dei suoi se si fa il suo percorso, che è questo: “Io sono venuto per servire, non per essere servito”.
Quante volte anche nelle comunità si sente: “ho tirato la carretta, nessuno si è accorto di me!”
Si può essere asmatici di lodi, senza non respiriamo, senza riconoscimenti sentiamo il vuoto. Sempre ricerchiamo approvazioni.
Il criterio è un altro: sono servo, mi nascondo nel servizio. Non mi servo delle opere per mettermi in mostra. Le capacità ricevute dal Signore non devono apparire affinché emerga il servizio dato.
Sincletica, madre del deserto: “Come si dissipa un tesoro scoperto, così qualsiasi virtù, quando è resa notoria e manifesta, svanisce”.
Nella vita, che si faccia il prete, che si sia sposati o altro, non esiste la terza via, esiste la prima e l’unica via che è Gesù Cristo.
Così, la III preghiera eucaristia per varie necessità: “Egli ha detto a noi le tue parole e ci ha chiamati a seguirlo: è la via che a te conduce, la verità che ci fa liberi, la vita che ci riempie di gioia”.
La disponibilità non è qualità una tantum, ma si tratta di fare gesti continuativi, sempre.
Servi inutili a tempo pieno e non ad intermittenza, questa la peculiarità cristiana. L’agire generoso, che si riduce al momento, non è necessariamente segno di altruismo. Quella è un’emozione, perché noi per emotività siamo capaci di grandi gesti, ma non diventiamo grandi nel gesto e restiamo quelli di prima. Passata l’emozione il segno non si ripete più.
Il camminare sulle vie del Vangelo libera dalle nostre false pretese. Ogni volta che esse dominano siamo momentaneamente soddisfatti, ma subito dopo inevitabilmente intristiti, perché Dio è esigente ma dona la gioia, dona la pace.
Occorre crederlo.