Meditiamo sulla Parola – I domenica di Avvento anno C

La parola adventus cioè venuta, è il termine che designa un tempo, il tempo liturgico che precede il Natale. Nel Rito Romano l’avvento comprende un periodo di quattro settimane, inizia in pratica con la domenica compresa tra il 27 novembre e il 3 dicembre, e si conclude con la domenica che precede il Natale e segna l’inizio del nuovo anno liturgico. L’Avvento è un tempo che indica tre cose: 1) l’inizio di un nuovo anno liturgico, corrispondente al presente che viviamo; 2) una memoria dell’evento storico della venuta nella carne del Signore; 3) l’attesa escatologica o ultima, in relazione alla nostra esistenza.

È il tempo del già e non ancora, il già è costituito dall’incarnazione con cui Dio entra nel tempo e nella nostra storia, in un punto preciso del suo svolgimento. Tutta la speranza che aveva sollevato il popolo della promessa trova in lui il suo termine, il tempo tocca in lui la sua pienezza. Ma non tutto è compiuto. Il tempo si prolunga e c’è posto ancora per la speranza, c’è un avvenimento che si colloca nel futuro, la manifestazione gloriosa del Signore che arriverà all’improvviso. Non si tratta di un domani lontano, di un evento che riguarderà l’ora nella quale, per cause intrinseche all’universo, esso avrà una fine così come ha avuto un inizio: no, è un evento che risponderà a una parola di Dio, a un suo decreto, un evento vicino, che ci coglierà in modo da sorprenderci. Improvvisamente, senza che nessuno di noi possa prevederlo, “apparirà il Figlio dell’uomo su una nube con grande potenza e gloria” (cf. Dn 7,13) e la sua presenza si imporrà su tutto l’universo. Nessuno potrà sottrarsi a questa visione che rivelerà a tutti la vera identità di Gesù. Che fare dunque in attesa di quel giorno? I vangeli delle quattro domeniche parlano di atteggiamenti da assumere, essere svegli, attenti, vegliare, vigilare per essere pronti ad accoglierlo in qualsiasi ora. Dobbiamo “sollevare la testa”, assumere la postura dell’uomo in cammino, in posizione eretta, sorretto dalla speranza. È la postura della sentinella che in piedi, sveglia, attenta, scruta l’orizzonte per essere pronta a gridare alla città che il Signore viene, sta per giungere, sta per manifestarsi nella gloria. Chi è il cristiano? “Colui che aspetta Gesù Cristo, la sua venuta!”. Noi cristiani aspettiamo davvero questo evento oppure non ci crediamo, lo consideriamo niente più che un mito? Ma è proprio su questa venuta del Signore nella gloria che si decide la nostra fede cristiana, la quale non è solo un’etica nello stare al mondo, non è solo l’adesione a una storia di salvezza, ma è speranza certa della venuta del Signore: colui che è venuto nella debolezza della carne umana a Betlemme, verrà gloriosamente nella pienezza di Dio e Signore, per fare cielo e terra nuovi. Chi ci ha fatto precipitare in questo clima dell’assenza, dello spegnimento del desiderio? Ormai i cristiani più devoti pensano all’avvento come tempo di preparazione al Natale, altri attendono la venuta del Messia con la stessa indifferenza con la quale si aspetta un tram — diceva Ignazio Silone – e altri sanno solo desiderare lo scambio di regali, le luci di città, e magari la neve sulle montagne. Ma attendere è un sentimento essenziale all’umanizzazione, all’edificazione dell’uomo che sa sperare e se attende può solo farlo con gli altri. Sono tre i personaggi principali che, nel tempo di Avvento, ci preparano all’incontro con Cristo: il profeta Isaia, contiene essenzialmente un lieto annuncio di liberazione, parla di un nuovo e più glorioso esodo e della creazione di una nuova Gerusalemme. Le pagine più significative di questo libro sono proclamate durante l’Avvento e costituiscono un annuncio di speranza perenne per gli uomini di tutti i tempi-  Giovanni Battista è il segno dell’intervento di Dio per il suo popolo; quale precursore del Messia, ha la missione di preparare le vie del Signore (cf Is 40,3), di offrire ad Israele la “conoscenza della salvezza” che consiste nella remissione dei peccati, opera della misericordia di Dio (cf Lc 1,77-78) e, soprattutto, di indicare Cristo già presente in mezzo al suo popolo.

Maria. con il suo sì ha cambiato la storia. Una vita, la sua, nel nascondimento (solo 6 volte nei vangeli) nella piccola e sconosciuta Nazaret. Una vita che è scuola anche per noi, modello di come la fede può trasformare e dare senso alla vita. la Liturgia ci ricorda che in Maria culmina l’attesa messianica di tutto il popolo di Dio dell’Antico Testamento. Ciascuno dei tre ha un rapporto missionario tutto particolare con il Salvatore che viene: Isaia lo preannuncia, Giovanni lo addita già presente, Maria lo offre.

“Senza la presenza di Cristo non arriverà mai un mondo realmente giusto e rinnovato… Possiamo e dobbiamo dire anche noi, con grande urgenza e nelle circostanze del nostro tempo: Vieni, Signore! Vieni nel tuo modo, nei modi che tu conosci. Vieni dove c’è ingiustizia e violenza. Vieni nei campi di profughi, nel Darfur, nel Nord Kivu, in tanti parti del mondo. Vieni dove domina la droga. Vieni anche tra quei ricchi che ti hanno dimenticato, che vivono solo per se stessi. Vieni dove tu sei sconosciuto. Vieni nel modo tuo e rinnova il mondo di oggi. Vieni anche nei nostri cuori, vieni e rinnova il nostro vivere, vieni nel nostro cuore perché noi stessi possiamo divenire luce di Dio, presenza tua” (Benedetto XVI).

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