
Meditiano sulla Parola – I Domenica di Quaresima (anno C)
Lc 4,1-13
Con il suo stile sintetico e potente Marco racchiude in un solo versetto il racconto delle tentazioni: “Subito dopo il battesimo, lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase 40 giorni, tentato da satana”. Ma quando scrive quel “40”, usando la simbologia biblica, vuole intendere “tutta la vita”.
Luca e Matteo distendono questo versetto fino a dipingere tre piccoli quadri, tre dense parabole. L’ambientazione è, come in Marco, il deserto, luogo del cammino verso Dio, luogo del già e del non ancora, luogo in cui si sperimenta la nostalgia del passato e la sfiducia nel futuro. E lì, in una vita ridotta all’essenziale, Gesù ha “fame”. Anche lui, come ogni uomo, si scopre portatore di “bisogni” con i quali confrontarsi.
Innanzitutto, le esigenze di una vita biologica che va assicurata. Non si può che partire da lì. E infatti Gesù non nega l’importanza del pane. “Non di solo pane vivrà l’uomo” vuol dire “anche di pane”. Cercare quanto serve materialmente per vivere non viene condannato: risponde alla nostra creaturalità. Battersi perché sia soddisfatta la nostra fame fisica, spendersi perché tutta l’umanità abbia cibo a sufficienza è il primo dovere per onorare la vita che ci è stata donata. Il problema nasce se è “solo” di pane che ci occupiamo; se ricerchiamo, per noi e per gli altri, “solo” un benessere fisico, materiale, rimanendo- e facendo rimanere- ancorati ad uno stadio di pura sopravvivenza. Come se la vita fosse tutta lì.
E invece, alla vita biologica deve seguire una vita di relazione. E qual è la tentazione che la inquina? Quella di emergere, dominare, sottomettere l’altro. Cerchiamo tutti un regno in cui sentirci re, magari non grande, ci basta un nostro piccolo regno in cui però sentirci al centro, dettare in modo più o meno esplicito le nostre leggi, volgere tutto a nostro favore. E non occorre accendere ceri al diavolo o bruciargli grani d’incenso per ottenerlo: basta accettare le sue logiche di manipolazione dell’altro, di sopraffazione del fratello. Ci prostriamo davanti a satana ogni volta che esercitiamo il nostro piccolo o grande dominio su chi ci è accanto. A questa tentazione Gesù ha dato una plastica risposta nell’ultima cena, chinandosi a lavare i piedi dei suoi e comandandoci di farlo l’un l’altro. Non dall’alto, ma dal basso: è così che va guardato il fratello.
E ora lo sguardo sale ancora più su: dalla vita biologica si era spostato alla vita di relazione; ora raggiunge il pinnacolo del tempio, perché l’ultima, più alta tentazione riguarda proprio il tempio, cioè il nostro rapporto con Dio. Ed è la tentazione di ribaltare i ruoli. Di essere noi a dire a Dio cosa deve fare. Di buttarci a capofitto in strade sbagliate e poi pretendere che ci venga a togliere dai guai. Anziché aderire alla sua volontà, pretendere che Lui si pieghi ai nostri desideri e capricci. O anche solo, nei momenti del bisogno, continuare a chiedergli prove del suo amore, come se non ci bastasse la prova ultima e definitiva: la sua croce.
Tre piccoli quadri per tre piccole parabole. E per tre volte Gesù risponde a satana citando la Parola, che ha nutrito la sua vita di preghiera al Padre. Anche noi possiamo farlo.
C’è una preghiera che risponde punto per punto alle tentazioni: il Padre Nostro.
“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Sì, la vita è un Tuo dono e Tu mantienici in vita, ma senza che il nostro bisogno diventi accumulo o rapina all’altro.
“E rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Non c’è fra noi uno degno di stare più in alto perché migliore degli altri: abbiamo tutti bisogno di perdono reciproco e tutti del Tuo perdono.
“E non abbandonarci alla tentazione”: quella più insidiosa e forte, di chiederti che non la tua, ma la nostra volontà sia fatta.
Da queste continue tentazioni, liberaci, Signore. Amen