
Meditiamo sulla Parola – II Domenica di Quaresima anno C
Lc 9,28-36
Il racconto della trasfigurazione occupa un posto centrale nei vangeli sinottici. Mentre Mt mette in rilievo la manifestazione (rivelazione/epifania) di Gesù come nuovo Mosè e Mc descrive un’epifania del Messia nascosto; Luca pensa maggiormente a un’esperienza personale di Gesù che, nel corso di una preghiera ardente e trasformante, è illuminato dal cielo sulla “partenza” (alla lettera “esodo”), cioè la morte, che egli deve compiere a Gerusalemme, la città che uccide i profeti. Come al battesimo, la voce celeste rivela Gesù come Figlio; ora questa sua realtà filiale diventa visibile anche nella sua pelle, nella sua umanità in marcia verso la passione e la trasfigurazione eterna della risurrezione. La trasfigurazione costituisce la risposta ultima a quella serie di interrogativi e di risposte parziali sull’identità di Gesù, che percorrono in particolare il capitolo 9 ed appartiene alla sequenza che comprende: 1. la confessione di Pietro (v.19s) “Ma voi chi dite che io sia?”. Pietro, prendendo la parola, rispose: “Il Cristo di Dio” – 2. l’annuncio della passione/risurrezione (v.22) “Il Figlio dell’uomo, disse, deve soffrire molto, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno” – 3. le esigenze rivolte ai discepoli (vv.23-26) “Poi, a tutti, diceva: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Gesù sale sulla montagna “per pregare”, dice il terzo vangelo, collocando così la trasfigurazione nello spazio della preghiera di Gesù. Nella preghiera Gesù rivela ai suoi la propria relazione con Dio, e questi “vedono la sua gloria”. Mc e Mt ci dicono che Gesù “fu trasfigurato” (Mc 9,2; Mt 17,2), Luca scrive che “l’aspetto del suo volto divenne altro”. I vangeli sinottici tentano, cercano di dire ciò che non è esprimibile, ma che pure è stata un’esperienza di Pietro, Giovanni e Giacomo. Sull’alta montagna Gesù non è stato visto da loro nella sua condizione ordinaria di uomo fragile e mortale, ma in un’altra forma: irradiante luce, radioso di luce, splendente come il Signore cantato dal salmo 76 (“splendente di luce sei tu e magnifico”: v. 5a) e dal salmo 104 (“avvolto dalla luce come da un manto”: v. 2a). Accade ciò che è testimoniato dal quarto vangelo: “E la Parola si è fatta carne e ha piantato la sua tenda tra di noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria” (Gv 1,14). Ma affinché questa rivelazione, questa apocalisse sia per i discepoli autentica e definitiva, ecco la visione della Legge e dei Profeti, di Mosè ed Elia che conversano con Gesù. È manifestazione, questa, della Parola di Dio detta dalla Legge e dai Profeti e fatta carne in Gesù. Secondo Luca, Mosè ed Elia saranno testimoni e interpreti della tomba vuota: saranno loro – “in abito sfolgorante” (Lc 24,4), come qui è sfolgorante la veste di Gesù – a svelare alle donne discepole che Gesù è il Risorto, il Vivente (cf. Lc 24,4-7). Rabbì, che bello essere qui! Facciamo tre capanne. L’idea di montare tre tende può apparire strana; in realtà la parola “tenda” nei Settanta traduce la Tenda dell’arca, nel deserto, dimora di JHWH in mezzo al suo popolo durante l’Esodo, prefigurazione della sua futura e definitiva abitazione fra gli uomini. La parola inoltre rimanda alle capanne nelle quali abitano i figli d’Israele durante una settimana, in occasione della festa dei Tabernacoli: ricordo dell’esperienza dell’Esodo (Lv 23, 42). L’entusiasmo di Pietro, la sua esclamazione stupita: che bello! ci mostrano chiaramente che la fede per essere visibile e vigorosa, per essere pane e visione nuova delle cose, deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un ‘che bello!’ gridato a pieno cuore. È bello per noi stare qui. “Tu sei bellezza”, pregava san Francesco, “sei un Dio da godere, da gustare, da stupirsene, da esserne vivi”. La visione, è spiegata dalla voce che scende dal cielo, la voce del Padre che proclama: “Questi è mio Figlio, l’eletto; ascoltatelo!”. Parola di Dio su Gesù ascoltata dai tre discepoli: “Questi è il Figlio”: Gesù è il Messia Figlio di Dio, di cui parla il Sal 2,7, e dunque Dio è suo Padre. E’ proclamato “l’eletto”, come il Servo profetizzato da Isaia (cf. Is 42,1): Figlio e Servo insieme, Figlio amato e Servo scelto, eletto tra gli uomini. Il Dio invisibile si fa ascoltare, per indicare che ormai l’ascolto va rivolto al Figlio. E così si compie la promessa fatta da Dio nella Torah: “Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta. Ascoltatelo!” (Dt 18,15). L’ascolto del Dio invisibile significa ascolto del Figlio, di Gesù, il Servo, l’Eletto, il Profeta definitivo dopo il quale non ce ne sarà un altro. “Shema‘ Jisra’el, ascolta Israele!” (Dt 6,4) risuona ormai come: “Ascoltate lui, Gesù!”. L’ascolto di Gesù è ascolto della parola del Vangelo e non di altre parole, è ascolto di ciò che Gesù ha detto e fatto, è ascolto della sua umanità, quell’umanità che egli ha vissuto con noi, condividendola in tutto, senza venire meno all’amore del Padre. Luca conclude: “Gesù restò solo”, che significa non la sua solitudine ma che i discepoli dopo la rivelazione vedevano soltanto Gesù, vedevano un uomo. Vedevano un uomo come prima, ma con la grazia della rivelazione da quel momento nell’umanità di Gesù potevano vedere Dio. Nella trasfigurazione siamo dunque invitati a un cammino che è ben riassunto in un detto di Gesù riportato da Clemente Alessandrino: “Hai visto tuo fratello, un uomo? Hai visto Dio”.