Meditiamo sulla Parola – Domenica delle Palme e della Passione del Signore

Pur con molti punti in comune, ognuno dei quattro vangeli ci offre un racconto della Passione che presenta delle originalità rispetto agli altri. Le scene ritratte sono sostanzialmente le stesse, ma ogni evangelista compone un proprio quadro in cui sceglie di evidenziare determinati particolari e attinge ad una personale tavolozza di tonalità descrittive.

Nei tre anni liturgici si susseguono le narrazioni della Passione secondo Matteo, Marco e Luca (mentre quella di Giovanni è sempre proclamata il venerdì santo), e ci viene quindi offerta la possibilità di cogliere di volta in volta quei particolari che rendono unico ognuno dei racconti, suggerendo il personale punto di osservazione dell’autore e rivelandone i temi caratteristici.

Quest’anno è l’evangelista Luca a proporci la sua versione della Passione. Siamo dunque invitati a scoprire il suo messaggio attraverso le scelte narrative che opera, cogliendo quei dettagli che solo lui descrive.

Luca è l’unico evangelista a riportare, nel racconto dell’istituzione dell’eucaristia, il comando del Signore “fate questo in memoria di me” (Lc 22,19), con il quale siamo chiamati a mantenere viva la presenza di Cristo nel tempo e nello spazio celebrando una eucaristia autentica: non un rito commemorativo di un passato sbiadito, ma il segno vitale di Cristo che si rende presente là dove una comunità si ama sinceramente.

Ma quanto sia difficile amarsi veramente Luca lo sa, e sceglie di inserire proprio all’interno dell’Ultima Cena le discussioni meschine su chi degli apostoli debba ritenersi il più grande. Questo gli dà modo di riportare, quasi come un testamento finale di Gesù, ciò che ritiene un messaggio fondamentale per la sua comunità: non cercare i primi posti, ma gli ultimi per porsi al servizio degli altri.

C’è un altro tema, caro a Luca, che lungo il suo vangelo scorre come un fiume carsico, emergendo frequentemente, e non poteva che riaffiorare significativamente nelle ultime pagine: la preghiera. Luca riporta la doppia esortazione di Gesù nel Getsemani “pregate per non entrare in tentazione” (Lc 22, 40; Lc 22,46): solo nella preghiera si può trovare la forza per affrontare scelte coraggiose, a volte addirittura eroiche. E quell’angelo che va a confortare Gesù nel giardino degli Ulivi, e di cui solo Luca parla (Lc 22,43), rappresenta il filo diretto tra il Padre e il Figlio che si dispiega nella preghiera e testimonia che nella narrazione di questo evangelista il Cristo non è solo, ma è confortato e sostenuto dal Padre, che non parla- è vero- ma assicura la sua presenza. E infatti sarà al Padre che Gesù morente si rivolgerà con fiducia per due volte sulla croce, non a un Dio lontano che sembra averlo abbandonato come invece ci riportano Matteo e Marco.

Come gli altri evangelisti, anche Luca deve annotare la mancanza di coraggio degli apostoli, che si addormentano e successivamente scompaiono dalla scena. Ed anche lui deve registrare amaramente il rinnegamento di Pietro. Ma Luca vuole offrire una lezione pastorale alla comunità alla quale dedica il suo vangelo: il male purtroppo esiste e viene commesso, ma non ci è concesso additare con compiacimento chi ne è l’autore. E infatti, con molta delicatezza, Luca trova un’attenuante al sonno dei discepoli nel Getsemani (dormivano-sì- ma per la tristezza cfr. Lc 22,45). E ancora più attento è nel non rimarcare eccessivamente gli errori di Pietro: non riporta il rimprovero che Gesù gli rivolge negli altri sinottici per non aver saputo vegliare un’ora sola; non rivela che è stato lui a tagliare l’orecchio al servo del sommo sacerdote; ed invece è l’unico a raccontare di quello sguardo che Gesù gli rivolge subito dopo il suo rinnegamento, facendolo scoppiare in lacrime. Sguardo non di rimprovero, ma di amore e di perdono.

Perdono che il Gesù di Luca dispensa a piene mani fino alla fine. L’ultimo suo miracolo è destinato al servo cui è stato mozzato l’orecchio. Anche in questa drammatica situazione Gesù si prende cura del ferito, guarendolo, nonostante sia lì per catturarlo (Lc 22,51).

Perdono chiede al Padre per questa umanità mai sufficientemente consapevole del male che compie (“Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno” Lc 23,34).

Perdono regala al malfattore che, sulla croce, gli si rivolge chiamandolo semplicemente Gesù- senza altra specificazione o titolo reverenziale- con una intimità che neanche i suoi discepoli osavano manifestare. È uno che ha sbagliato tutto nella vita, ma osa chiedere di essere ricordato, cioè di rimanere nel cuore di Cristo. A lui Gesù fa quella promessa che ognuno di noi spera di poter ascoltare: “Oggi sarai con me in paradiso” (Lc 23,43). Quel giardino, dove l’uomo voleva “fare a meno” di Dio, si riapre perché un uomo, un malfattore, desidera stare “con” Cristo.

Il Gesù di Luca muore invocando ancora una volta il Padre, e alle sue mani- come in un abbraccio definitivo- affida tutto sé stesso.

Non può che essere drammatico, un racconto della Passione, ma Luca non calca la mano con pennellate scure insistendo sulle vessazioni fisiche: in lui non c’è traccia di flagellazione, né di schiaffi o corona di spine; non descrive angoscia in Cristo, ma solo la consapevolezza di dover affrontare un combattimento decisivo (“Entrato nella lotta…” Lc 22,44).

Non ci può essere un lieto fine, in questo racconto: verrà più avanti, dovremo aspettare il terzo giorno. Ma, nonostante tutto, Luca ci consegna, della Passione, una narrazione che scarta ogni pennellata dalla tonalità tragica, e mitiga la drammaticità di fondo con i tratti luminosi dell’amore, del perdono, della speranza: quel paradiso che si apre a Gesù e al malfattore è già un annuncio di risurrezione.

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