
Meditiamo sulla Parola – Pentecoste anno C
Per tutto il tempo di Pasqua, compagno di viaggio è l’Evangelo di Giovanni.
Nella solennità di Pentecoste, cinquanta giorni dopo la risurrezione di Gesù Cristo, la liturgia presenta un brano ascoltato due domeniche fa. Viene riproposto perché contiene la promessa che il Signore ha fatto durante l’Ultima Cena, il dono del suo Spirito.
“Se uno mi ama…”: è decisiva questa frase del testo evangelico di oggi. Gesù dà l’opportunità di valutare quale rapporto abbiamo con Lui.
È importante fermarsi per verificare se effettivamente amiamo il Signore o una sua caricatura, frutto della nostra fantasia religiosa; se lo amiamo a parole o nei fatti e nella carità. L’amore, infatti, lo sappiamo bene, non è una condizione che si raggiunge una volta per tutte, ma va costantemente ricercato e alimentato affinché non si estingua. È fatica e non può essere ridotto a un astratto “voler bene”. È essenziale interrogarsi sulla qualità del nostro amore per il Signore.
Dobbiamo riconoscere che spesso sbagliamo e non riusciamo a viverlo come sarebbe opportuno fare. Non basta solo il comportamento rispettabile se poi nel cuore brucia l’immondizia.
All’inizio dell’Evangelo odierno Gesù dice: “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”. Subito dopo: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola”. Vi è un passaggio: dall’adempimento dei comandamenti all’osservanza della parola.
Ma cos’è questa osservanza di cui parla Gesù?
La realizzazione dei comandamenti sembra facile da comprendere. Per esempio, non rubare si ottiene non rubando. Ma l’osservanza della parola di Gesù non si può ridurre a uno scrupoloso rispetto di precetti e norme. Certamente si parte da questa ma si deve arrivare ad altro. E ciò appare più chiaro se intendiamo il termine osservare” nel senso di “custodire”. La custodia, infatti, aggiunge all’osservanza, che può essere legalistica, un atteggiamento di cura, di attenzione, un agire che dà compiutezza alla semplice osservanza.
Il fine di tutto questo processo è davvero grande: il venire a prendere dimora in noi del Padre. “Dimorare” dice una condivisione, uno stare insieme nella stessa abitazione, “dice auto-partecipazione di Dio al singolo uomo (Karl Rahner). C’è dunque un amare Gesù che passa attraverso il custodire e il fare la sua Parola.
Questo conduce a percepire l’amore del Padre che non ha disdegnato di incarnarsi in Gesù, affinché possiamo arrivare a conoscerlo e a rispondergli con tutto il nostro essere. Si tratta di un cammino che non siamo in grado di portare avanti da soli. Proprio per affrontare questa difficoltà viene chiamata accanto a noi un’altra Presenza che sia di aiuto. Gesù stesso dice che è il Padre a mandarla: “Il Padre manderà il Paraclito, lo Spirito santo che vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà ciò che vi ho detto”.
Va ricordato che il termine “Paraclito” evoca la figura chiamata accanto all’imputato come avvocato difensore nei processi. Il paraclito promesso da Gesù ha essenzialmente due compiti da svolgere: insegnare ogni cosa e ricordare tutto ciò che Gesù ha detto e compiuto.
L’insegnamento viene portato avanti approfondendo e vivendo “ogni cosa” fatta da Gesù per vivere bene in questo mondo. Mentre il ricordare (portare al cuore) è da riferire alle sue parole.
Quando siamo posti di fronte a delle scelte, il discernimento va fatto sempre tenendo presente l’Evangelo. Con queste due modalità siamo accompagnati nell’accrescimento della conoscenza del Signore e dunque anche nella nostra capacità di amarlo. L’aiuto dello Spirito santo Paraclito ci accompagni nel difficile cammino dell’osservanza amorosa della parola di Gesù e, con sorpresa, scopriremo che siamo preceduti dal dimorare in noi dell’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.