
Meditiamo sulla Parola – SS Pietro e Paolo anno C
Dobbiamo sempre essere attenti alle indicazioni geografiche che il Vangelo pone lì quasi con noncuranza e invece nascondono significati non marginali. La pagina evangelica di oggi è ambientata a Cesarèa di Filippo, luogo fertile e rigoglioso, ricco di greggi e di vegetazioni lussureggianti. Terra di pagani, che conducono una vita agiata. È in questo scenario allettante che Gesù pone ai suoi una domanda: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?” Cioè: che uomo sono io per la gente?
È suggestivo che questa domanda sia posta quasi come confronto con gli uomini di successo e di potere che abitano in quella zona. Sicuramente uomini che la gente ammira e invidia. Gesù sembra chiedere: di fronte a questi che appaiono gli uomini riusciti, qual è il pensiero su di me e sulla proposta di uomo che faccio?
Ciò che i discepoli riportano è, tutto sommato, un giudizio positivo: viene ritenuto un profeta. Però non basta, e sicuramente non è ciò che Gesù vuole veramente sapere. A lui interessa conoscere che cosa rappresenta per loro che lo hanno seguito condividendone la vita. Anche per i discepoli è solo un profeta?
Nel testo greco la domanda posta da Gesù contiene una parola piccolissima- appena due lettere, sia in greco che in italiano- che purtroppo non sempre viene tradotta: “ma”. “Ma voi chi dite che io sia?”.
“Ma voi”. Può significare: non m’importa quello che dicono gli altri, mi interessa ciò che pensate voi. Voi che mi siete vicini. Voi che avete visto, udito, sperimentato. Voi che ho scelto come amici. Voi- non gli altri- cosa avete capito di me? In questo senso, è la richiesta di una testimonianza da parte di chi lo conosce, o dovrebbe conoscerlo, meglio di tutti.
Quel “ma” può suggerire però un’altra riflessione. Rispetto a quello che dice la gente, il vostro pensiero sa essere differente?
Qualche capitolo prima (Mt 5,22 e seguenti) Gesù aveva ripetutamente ammonito “Ma io vi dico….”, chiedendo ai suoi un comportamento diverso da chi si atteneva solo alle prescrizioni della Legge. Ora, specularmente, chiede “Ma voi chi dite….?.
Ecco. È quel “ma” che ci qualifica come cristiani. Accanto agli altri, con gli altri nel comune cammino umano, né migliori né peggiori, “ma”….
C’è- ci dovrebbe essere- una differenza, quella “differenza cristiana” cui Enzo Bianchi ha dedicato un piccolo preziosissimo libro. Siamo capaci di un pensiero non appiattito sull’opinione della maggioranza? Siamo portatori di un’alternativa che faccia di noi sale e luce? Ci sforziamo di trovare e proporre soluzioni differenti rispetto a quelle che rendono, questo, un mondo di lupi anziché di fratelli? .
Scrive Enzo Bianchi: “Non dimentichiamo che l’indifferenza cresce man mano che scompare la differenza”. Se il cristianesimo può parlare ancora all’uomo, attrarlo, affascinarlo, deve avere a cuore quel “ma”. Se per noi, come per tanti – cristiani compresi- Gesù di Nazareth è stato un uomo eccezionale, che ha detto e fatto cose sublimi, rimarremo nell’ambito di quelli che lo ritenevano un profeta. Invece con Pietro dovremmo con consapevolezza rispondere, come singoli e come comunità: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente “. Sei l’atteso, sei colui che ci salva. Non sei Giovanni Battista, Elia, Geremia. Persone nobilissime, uomini eccezionali. Che però sono morti. Tu sei quello su cui l’umanità ha posto tutte le sue attese e le speranze. Sei Figlio del Dio vivente. Sei il Vivente.
Certo, neanche Pietro che, ispirato, ha fatto questa dichiarazione altissima, sapeva davvero cosa essa volesse dire. Sì, lo aveva definito “il Cristo”, ma quale “Cristo” aveva in mente, se pochissimi versetti dopo cercherà di distogliere Gesù dalla sua decisione, e da destinatario della più alta delle lodi- “beato”- diventerà oggetto del più indignato dei rimproveri , “satana”?.
Dichiarare che Gesù è il Cristo non basta nemmeno a Pietro, che faticherà a far coincidere le sue idee sul messia con ciò che veramente Gesù è. Non basta una vita per comprendere chi è Gesù, il Cristo. E chi sia per noi. Forse, in momenti diversi della nostra vita, potremmo anche dare risposte differenti: anche noi a volte “beati” a volte “satana”.
Non basta dare definizioni ineccepibili se rimangono solo nella testa e non scendono nel cuore. E infatti, prima di affidargli definitivamente le sue pecorelle, Gesù a Pietro chiederà tre volte se lo ama. Non gli farà un esame di catechismo, ma vorrà accertarsi che finalmente lui, Gesù il Cristo, gli è entrato nel cuore.
Così anche per noi. Possiamo conoscere definizioni e dogmi, ma non basta. Dalla testa devono passare nel cuore e diventare vita. Fino a dire con S. Paolo “non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Gal 2,20).
È questo che può fare la differenza e sorprendere il mondo con l’audacia affascinante di quel “ma”.