
Meditiamo sulla Parola – XVI domenica tempo ordinaio anno C
Lc 10,38-42
Per lunga consuetudine con le parole della liturgia domenicale, sappiamo che sempre le letture proposte sono legate fra loro da un filo rosso che rimanda a situazioni differenti all’apparenza, ma coerenti nel senso. Ecco che nella prima lettura di questa domenica si legge: Gn 18,1-18a: “Abramo andò in fretta…”; “Prese un vitello tenero…”; “Prese panna e latte fresco”.; “Egli stava in piedi…”
L’episodio è quello della visita dei tre misteriosi viandanti (angeli? Trinità?) alle Querce di Mamre; per onorare e accogliere degnamente gli ospiti, Abramo, benché a capo di una tribù numerosa, nomade sì, ma discretamente benestante, viene descritto nell’atteggiamento di uno che serve con sollecitudine e cura; soprattutto l’ultima frase lo descrive, in piedi, come chi è presso la mensa pronto a cogliere i bisogni e le necessità dei commensali. Ricordiamo che per gli ebrei e i popoli medio-orientali in genere, l’ospitalità era un precetto sacro e assoluto a cui nessuno di solito si sottraeva.
Anche nella seconda lettura, tratta dalle Lettere di Paolo (Col.1,24-28), ritorna il tema del servizio, infatti ciò che noi traduciamo con “ministro” nel testo greco è “diàconos” il cui significato originale è: “colui che lavora per altri”.
È probabile che Luca, autore del brano del vangelo di oggi, abbia notato nella comunità, che a lui si riferiva, difficoltà e tensioni tra i diversi modi di intendere la vita comunitaria nelle differenti modalità del servizio reciproco.
D’altra parte, già negli Atti degli Apostoli, al capitolo 6, lo stesso autore segnala che i Dodici avvertono la necessità di avere più tempo per lo studio e la diffusione della Buona Notizia per cui scelgono di nominare dei diaconi di supporto per i bisogni materiali, quotidiani dei fratelli e delle sorelle. Fatta salva la dignità e il valore delle azioni di tutti coloro che si impegnano nel servizio reciproco, appare chiaro che i piani in cui agiscono sono non solo separati, ma anche diversamente considerati per intrinseca importanza.
E questo ci porta alla pagina evangelica oggi proclamata.
A tutti era nota l’amicizia che legava Gesù a Lazzaro e le sue sorelle, per cui all’entrare di Gesù nella loro casa nessuno si stupisce che una sorella cominci ad organizzarsi per accogliere al meglio l’ospite (forse inaspettatamente giunto), cercando di offrirgli un’accoglienza attenta e adeguata.
L’altra sorella, invece, assume subito la postura del discepolo in ascolto, seduta presso di lui ai suoi piedi, gli stessi piedi bagnati da lacrime di pentimento (della stessa donna? di un’altra sensibilissima pubblica peccatrice?), asciugati con i capelli in un gesto di un’intimità e di una dedizione infinita, unti (in altro passaggio evangelico) con oli preziosi come anticipo della cura che si doveva al corpo di un defunto molto amato.
La novità qui è che si tratta di una donna cui non solo si riteneva NON opportuno insegnare la Torah, ma che mai avrebbe dovuto essere considerata una discepola perciò degna di stare così vicino a un rabbi.
Per fortuna Maria non la pensa così, vuole ascoltare e ascoltare bene, tutto il resto (tradizioni, pregiudizi, senso di opportunità, problemi pratici) non le interessa; sa solo di non poter perdere l’occasione di ascoltare la Parola dalla voce stessa del Figlio di Dio.
È tranquilla: Gesù non l’ha respinta, non l’ha allontanata, continua ad insegnare a lei e agli altri che il Regno è per tutti e che lui ne è la Via.
Non così, però, la pensa Marta, la quale, audace come la sorella, comincia rivolgendosi a Gesù come Kùrios, Signore, (ricordiamo che la stessa, peraltro, confermerà la sua fede in lui, più avanti, definendolo Cristo, Unto da Dio, e “Figlio del Dio Vivente”), in realtà lei intende trascinarlo in una piccola disputa familiare che vorrebbe risolta dall’intervento diretto del Maestro.
Gesù, anche in questo caso, riesce a mantenere un’equidistanza fra queste due donne che, in fondo, lo amano entrambe molto seriamente, ma che hanno evidenziato modi e priorità differenti.
Egli riconosce che Marta si dà da fare per lui ed è in grande attività (il greco riporta merimnas cioè sei agitato e thorubàze cioè fai rumore agitandoti) per la cura che vuole dimostragli, ma vede anche l’esigenza profonda di Maria che sa cogliere l’unicità di quel momento in cui nella loro casa viene annunciata quella parola che illuminerà tutta la loro vita successiva.
Notiamo che la parola “affanno” in italiano ha sì il significato di preoccupazione, impegno gravoso, ma anche di difficoltà di respiro (e lo sanno bene i molti asmatici), è qualcosa che impedisce all’aria, alla vita di fluire liberamente dentro di noi, così come i molti impegni della padrona di casa la distolgono dall’ascolto delle parole che danno la Vita.
Inevitabilmente Gesù deve correggere Marta che sembra convinta di dover fare qualcosa per accogliere degnamente l’ospite e soprattutto meritarne l’amore, ma si sbaglia di grosso: non c’è nulla da dover fare, nulla da meritare, l’Amore è gratis o non è, tutto già pagato, ogni debito saldato dal libero gesto del Figlio di Dio che riconcilia la terra con il cielo.
La Marta, che è in ciascuno di noi, deve ben comprendere che se la sua scelta di ospitalità è cosa buona, quella di Maria, che punta al cuore del messaggio e delle Vita, è “cosa molto buona” perché non ha la presunzione di fare qualcosa per Dio, ma l’umiltà di lasciare che Dio faccia tutto per lei.
Quest’ultima scelta è la porzione buona, anzi la “parte migliore” a cui deve tendere Marta e tutti noi con lei, noi sempre un po’ malati di attivismo e di protagonismo, incapaci spesso di stare fermi e di tacere rendendo difficile alla Parola di superare le orecchie per arrivare alla mente e al cuore.
Enzo Bianchi in suo commento al brano scrive: “Mi sento più Marta che Maria e ne provo vergogna e pentimento…”, ha perfettamente ragione, quanto silenzio non rispettato, quante parole e quanti gesti assolutamente superflui, quanto movimento inutile, quanto tempo usato e sprecato per cose, alla fine, secondarie!
Che il Signore perdoni le nostre velleità e ci guidi dolcemente ai suoi piedi, in silenzioso ascolto.