
Meditiamo sulla Parola – Trasfigurazione del Signore anno C
Il racconto della trasfigurazione sul monte Tabor, centrale nella narrazione evangelica, viene spesso interpretato come un momento di tregua o riposo sabbatico nel cammino ineluttabile di Gesù verso Gerusalemme, un momento in cui il paradosso della fede (un Dio che si rivela nella Legge e nei Profeti, ma anche in un Messia sofferente) viene temporaneamente conciliato.
L’episodio è riportato sia in Matteo, 17, 1-9, sia in Marco, 9, 2-10, sia in Luca, 9, 28-38.
Il Vangelo di Matteo, così come quello di Marco, colloca la scena “sei giorni dopo” un momento precedente. Questa indicazione temporale non è casuale, rimandando verosimilmente a Esodo 24,16: “La gloria dell’Eterno pose la sua dimora sul monte Sinai, e la nube lo coprì per sei giorni. Al settimo giorno l’Eterno chiamò Mosè dal seno della nube”.
L’evento straordinario della trasfigurazione avviene, dunque, in un “settimo giorno”, un tempo di riposo e di rivelazione, nel quale il velo che nasconde la straordinarietà della realtà vissuta dai discepoli dietro a Gesù, si solleva per un istante.
Gesù porta con sé in questa esperienza i suoi discepoli più intimi, Pietro, Giacomo e Giovanni, spesso menzionati insieme nei Vangeli come testimoni privilegiati di momenti cruciali. La scelta di condurli su un “alto monte” è significativa, poiché la montagna, nell’universo biblico, è tradizionalmente un luogo di svelamento divino (il richiamo è ancora alla tradizione del Sinai).
Sul monte, Gesù viene “trasfigurato” davanti a loro. Il termine “trasfigurato” – in Marco: “trasformato”, dal greco: metamorphōthē – indica un “cambiamento di forma” e descrive un evento inatteso e decisamente fuori dal comune per i testimoni.
Il suo volto brilla “come il sole” e le sue vesti diventano “candide come la luce”, di un biancore talmente intenso che nessun lavandaio terreno potrebbe ottenere. La luminosità del volto e la bianchezza abbagliante delle vesti di Gesù sono un segno della sua glorificazione e ne sottolineano l’identità divina (l’immagine rimanda nuovamente a Mosè e al suo volto radioso dopo l’episodio del Sinai, Es 34, 29).
A questo punto appaiono Mosè ed Elia, due personaggi centrali nella storia della salvezza: rappresentano la Legge e i Profeti. La loro presenza e il loro dialogo con Gesù indicano, dunque, una profonda armonia tra lui, la Legge e i Profeti.
Pietro, spaventato e incerto su cosa dire, propone di fare tre tende (o capanne). Questa iniziativa evidenzia l’incomprensione dei discepoli; Pietro sta tentando, così, di prolungare un momento privilegiato e rassicurante, certamente più rassicurante della prospettiva della morte violenta di Gesù, contro cui l’apostolo aveva protestato nel capitolo precedente (Matteo, 16, 21-23). L’idea di fare tre tende richiama la storia dell’antico Israele, probabilmente la festa delle Capanne (Sukkot).
L’intervento di Pietro viene interrotto da una teofania: una nube luminosa li avvolge con la sua ombra (Esodo 40,35). Dalla nube si ode una voce che proclama: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo”. Si tratta della stessa voce udita al battesimo di Gesù (Mc 1,11); qui essa si rivolge direttamente ai discepoli, proclamando l’identità di Gesù come il Figlio, l’Amato. L’imperativo “Ascoltatelo” è cruciale, segnando un passaggio dal registro della visione a quello dell’ascolto. Il Padre, dopo aver presentato il Figlio, si ritira, lasciandolo in primo piano, al centro della rivelazione.
I discepoli, presi da grande timore, cadono con la faccia a terra, una reazione ricorrente nelle teofanie bibliche. Gesù si avvicina, li tocca e li rassicura: “Alzatevi e non temete”. Sollevando gli occhi, però, essi non vedono “più nessuno, se non Gesù solo”. L’assenza di Mosè ed Elia dopo la manifestazione divina conferma che Gesù è il culmine e il compimento della Legge e dei Profeti.
Mentre scendono dalla montagna, Egli ordina loro “di non parlare a nessuno di questa visione finché il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti”. Questa “consegna del silenzio” (o “segreto messianico”) è significativa: la trasfigurazione, pur essendo una manifestazione gloriosa e un’anticipazione della venuta del regno di Dio, sarebbe rimasta incomprensibile e troppo grande finché la luce della risurrezione non avesse illuminato pienamente il paradosso di un Messia che deve soffrire e morire.
Nella scena riportata da Marco, infatti, l’Evangelista aggiunge che i discepoli “custodirono la parola, chiedendosi tra loro che cosa volesse dire risorgere dai morti” (9, 10), confermando, così, che l’episodio eccezionale a cui avevano assistito andava interpretato nella prospettiva della teologia della croce. Gesù deve passare attraverso la morte, è lì che si gioca l’essenziale della sua identità.
La trasfigurazione di Gesù non è, però, solo un evento straordinario di rivelazione della sua gloria divina e della sua identità come Figlio amato, ma anche un modello e un invito per una profonda e continua trasformazione spirituale di ogni donna e uomo e, attraverso di essi, dell’intero creato.
Il “cambiamento di forma” deve estendersi, dunque, oltre l’evento sul monte!
Anche l’apostolo Paolo ci esorta a “trasformarci” (Rm 12,2), indicando che ciò rappresenta un comando e mistero evangelico da praticare quotidianamente.
Il battesimo è il momento in cui si acquisisce il diritto a questa metamorfosi o evoluzione, a “rivestirsi di Cristo” (Galati 3,27); essa implica un cambiamento di direzione, un’uscita dal proprio ego per muoversi verso Gesù e, se compiuta sotto la guida dello Spirito Santo, consentirà di compiere azioni al di là delle proprie forze.
Come cristiani siamo chiamati, dunque, a esercitare un “ministero di trasfigurazione” verso gli altri uomini, ma non solo. Il nome stesso di Gesù è, infatti, uno strumento per trasfigurare tutto il mondo, inclusa la natura inanimata e il mondo animale, restituendo loro la dignità originaria.
Lungo questo cammino l’evento segreto ma indimenticabile avvenuto sul monte “ci accompagna fin nel cuore dei nostri deserti e delle nostre tentazioni, presente in filigrana dietro ogni sofferenza e fino alle soglie della morte. Perché non c’è dubbio: ogni Calvario sarà un giorno trasfigurato in Tabor” (da E Gesù disse:”Ma non capite ancora?”, di André Louf, Edizioni Qiqajon, 2017)