Meditiamo sulla Parola (XX domenica tempo ordinario anno C)

Il Vangelo di questa domenica è costituito da una pericope breve, solo pochi versetti, che ha però un forte impatto: ci scuote e ci fa riaprire gli occhi, svegliandoci dal torpore che spesso ci attanaglia. Nel cammino di fede infatti capita a volte di adagiarsi nelle proprie abitudini religiose e perdere di vista la forza dirompente, vivificante, dell’annuncio evangelico che, se accolto davvero, è capace di stravolgere completamente l’esistenza del discepolo.

Gesù dichiara qual è la sua missione: “Sono venuto a gettare il fuoco sulla terra…” e ci fa sentire tutta l’urgenza con la quale vive questa missione, quanto è grande il suo desiderio di vedere infiammata la terra intera da questo fuoco “…e quanto vorrei che fosse già acceso”.

L’immagine del fuoco compare più volte nella Bibbia come segno della presenza di Dio: nell’alleanza stretta con Abramo, nella colonna di fuoco dell’Esodo, nel roveto ardente sul Sinai. Spesso è simbolo di purificazione, come nelle parole del Battista che annunciano la venuta del Messia: “viene uno più forte di me…costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano un ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile”. Ed ancora, nella parabola della zizzania, il fuoco è ciò che elimina il male. Il fuoco può anche essere inteso come segno di una punizione divina: Giacomo e Giovanni, nel vangelo di Luca, chiedono a Gesù di far scendere un fuoco distruttore sul villaggio dei Samaritani che non ha accolto il suo insegnamento.

Ma questo fuoco non è quello che porta Gesù.

Il fuoco di cui parla Gesù è l’amore smisurato di Dio che ci viene rivelato, è Gesù stesso questo fuoco, come riportato da Origene: «Chi è vicino a me è vicino al fuoco, chi è lontano da me è lontano dal Regno»; è quel fuoco che i discepoli di Emmaus sentono ardere nel petto, è il fuoco della Pentecoste che discende sugli apostoli chiusi nel cenacolo e fa sì che spalanchino le porte e divengano annunziatori e testimoni del Vangelo.

All’immagine del fuoco segue quella del battesimo: “Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto”. Questo battesimo è il prezzo che Gesù pagherà perché il fuoco divampi, è la realtà che sta per travolgerlo, l’immersione fino in fondo nella sofferenza, nella morte violenta che lo attende. Gesù parla infatti di questo battesimo associandolo al calice che dovrà bere (Marco 10,38). Egli sta annunciando, ancora una volta, che dovrà attraversare la via del dolore per compiere la sua missione, che l’amore di Dio potrà essere manifestato pienamente solo attraverso il sacrificio della Croce. L’ angoscia che prova per il battesimo che deve ricevere è il desiderio urgente di veder compiuta la volontà del Padre, il desiderio che, attraverso il dono della sua vita, finalmente si instauri una relazione nuova fra gli uomini e Dio, come figli con il Padre.

Col versetto 51 inizia la seconda parte del brano evangelico: «Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, vi dico, ma divisione». È un’affermazione sconvolgente.

Nel vangelo di Luca il tema della pace è sempre presente, dall’inizio, nel coro degli angeli che annunciano la nascita del Salvatore, fino alla fine, con l’apparizione del Signore risorto che rivolge ai discepoli il saluto “Pace a voi”. Come si risolve questa apparente contraddizione?

Nel vangelo di Giovanni Gesù dice: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”. Allora si contrappongono da un lato la pace del mondo, che spesso è solo un anestetico per “tirare a campare”, è chiudere gli occhi per far finta che tutto va bene, è accettare compromessi per evitare i conflitti, e dall’altro la pace di Gesù, che è frutto di una scelta, una pace che non è a buon mercato, non è senza tensioni e combattimenti, una pace che viene dal sapersi amati al punto da poter affrontare ogni difficoltà.

Gesù parla di divisione ed è Lui stesso la causa di questa divisione. Di fronte a Lui non si può restare indifferenti, bisogna prendere posizione, e questo provoca inevitabilmente lacerazioni anche nella sfera più intima, fra le persone più care, nella famiglia stessa, dove “saranno divisi tre contro due e due contro tre”.

Negli ultimi versetti l’evangelista si rifà a un’immagine conosciuta, quella del profeta Michea, che aveva parlato di un figlio che offende il padre, della figlia che insorge contro la madre e la nuora contro la suocera. E aveva aggiunto: “E i nemici dell’uomo sono quelli di casa sua” (Mi 7,6).

Gesù riprende questa immagine per annunciare che il mondo vecchio non si sarebbe rassegnato a scomparire e avrebbe fatto opposizione alla novità del Vangelo. Il vecchio e il nuovo sarebbero entrati in conflitto.

È la realtà vissuta dalla prima comunità cristiana, quando cominciarono le persecuzioni ed essere cristiani significava essere rifiutati, denunciati, perdere ogni diritto, rischiare la vita stessa.

Ma è una realtà che, a ben guardare, si ripresenta ogni volta che sorgono testimoni veri, cristiani autentici, ogni volta che la fiamma dello Spirito suscita un’adesione viva e sincera al Vangelo: Gesù è venuto a portare fuoco sulla terra ma c’è chi prova a relegarlo nei cieli, a stemperare la forza della Parola svuotandola, affinché ipocrisia, ingiustizia, guerra, continuino ad albergare nei cuori degli uomini e sulla terra. Il discepolo, che conforma la propria esistenza su quella del Maestro, non può non mettere in conto la persecuzione “Se hanno perseguitato me perseguiteranno anche voi” (Gv 15,20).

La proposta evangelica è radicale ed esige scelte radicali che spesso sono criticate, osteggiate, derise proprio dalle persone più vicine, da coloro che dovrebbero condividere e sostenere scelte coraggiose.   In questo senso davvero Gesù è “segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2,34-35)

D’ora in poi, dice Luca, inizia un tempo nuovo, dopo la resurrezione, in cui la Parola farà verità: essa è scomoda per chi non vuole essere disturbato, ma suscita una sana inquietudine in chi si lascia interrogare. Cristo ci si presenta dinnanzi con forza e ci chiede di diventare creature nuove, capaci di ascoltare la voce dello Spirito e lasciarsi guidare nelle scelte di ogni giorno, di aderire a Lui con tutto il cuore, senza tentennamenti e compromessi, ma con fiducia, entusiasmo, passione, e con la consapevolezza che “credere è entrare in conflitto” (D. Turoldo).

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