Meditiamo sulla Parola – XXI domenica tempo ordinario anno C

Lc 13,22-30

“In quel tempo Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in viaggio verso Gerusalemme”.

Si apre così la pagina del vangelo della XXI domenica del tempo ordinario, anno C.

Gesù cammina e insegna: cammina insegnando e insegna camminando, il suo camminare è fonte di insegnamento, la lezione è il suo stesso viaggio. Ed ecco un “tale”, un anonimo, chiede il numero di quelli che si salvano, saranno pochi?

Gesù non risponde alla domanda in maniera diretta e non si rivolge al singolo interlocutore, ma a tutti gli ascoltatori con le seguenti parole: “lottate per entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare e non avranno la forza”.

La salvezza è lotta ed è per ogni uomo, che sa di essere perduto in quanto mortale, ma è anche dono che non toglie l’iniziativa e che costa la fatica di essere accolto. Una lotta per entrare per la porta stretta.

Si noti che in Matteo (7,13-14) Gesù parla di due porte diverse, l’una stretta e “difficile” che conduce alla vita, l’altra larga, di accesso alla città, che porta alla perdizione. Interessante è sottolineare, anche in Luca, l’allusione alla piccola porta che consentiva ai ritardatari o a chi avesse urgenze di entrare in città, laddove la porta grande, quella principale, fosse stata chiusa al sopraggiungere della notte. Ma il termine usato da Luca è thýra (vv. 24-25), che è relativo alla porta di casa che il padrone a un certo punto chiudeva impedendo l’ingresso. Dunque, vi è un’unica porta stretta che conduce alla salvezza ed è aperta fin quando il padrone non si alza e la chiude.

È “stretta” e Luca esorta a un “agire risoluto nell’ultimo momento ancora possibile” (E. Joseph, Il Vangelo secondo Luca, Morcelliana, 1985). Ciò implica una scelta, la scelta di disporre il cuore ad accogliere la grazia della salvezza con sforzo e lotta, ma anche con capacità di trasformazione e relazione.

Nessuno ha la forza di salvarsi da solo.

A chi, rimasto fuori dalla porta, grida: “Signore, aprici!”, il padrone risponde dicendo: “Non so voi di dove siete!”

Ecco che la salvezza, che è lotta, dono, porta, diventa relazione: conoscere il “padrone di casa” ed essere da lui conosciuto sta a significare che la salvezza è relazione con il Signore, una relazione nutrita di fede e dallo stare insieme. Chi pretende di essergli noto e vicino sarà ritenuto ignoto e lontano, e il lamento e lo stridore di denti diventeranno il luogo della dimora.

E non basta invocare i momenti di convivialità: si può aver mangiato e bevuto insieme, o ascoltato alcune sue parole, si può aver vissuto accanto e vicino ma non essersi incontrati.

Il mangiare e il bere sono riferimento al banchetto eucaristico: possono essi stessi diventare ostacoli nella relazione con il Signore “se si trasformano in presunzione di salvezza”, così come scrive Manicardi.

Nella relazione è richiesta l’umiltà: la porta è stretta e va lasciato fuori il protagonismo dell’uomo “perché l’io e le sue presunzioni non vi passano” (S. Fausti, Una comunità legge il Vangelo di Luca, EDB, 1994).

I primi diventeranno ultimi e gli ultimi primi (v. 30), rovesciando così i concetti di prossimità e lontananza, perché la salvezza è per chi ascolta, sia per i vicini che per i lontani: verranno dai confini della terra, Oriente e Occidente, Settentrione e Meridione, si sdraieranno a mangiare e a bere, celebrando l’eucarestia.

Certo per chi crede di essere primo, di essere vicino, anche le parole di Enzo Bianchi sono un’occasione propizia per una riflessione personale sul discernimento che chiede questa pagina del vangelo a ognuno di noi. Lui stesso scrive: “sono solo un uomo religioso, che prega, che va all’Eucaristia, ma in realtà ho una vita non conforme alla volontà del Signore Gesù, oppure sono uno che andando alla preghiera, nutrendosi della Parola e dell’Eucaristia come un mendicante che attinge da esse forza, tenta ogni giorno di essere un discepolo del Signore, tenta di essere coerente tra ciò che pensa, dice e vive quotidianamente?”

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