Meditiamo sulla Parola – XXIII domenica tempo ordinario anno C

Lc 14, 25-33

Il capitolo 14, versetti 25-33 del Vangelo di Luca, è tra i più radicali poiché chiarisce le condizioni esigenti della sequela di Gesù e, quindi, della vita cristiana.

La scena si apre con Gesù – figura che muove la vita, la rende viva, la strappa radicalmente dalla morte attraverso la via della testimonianza – che, accompagnato da una folla numerosa, non esita a metterla in guardia dalle aspre esigenze della sequela da vivere non come un insieme di valori trascendentali e disincarnati dalla realtà ma come comportamenti frutto di scelte singolari, profonde ed insostituibili. Gesù punta alla responsabilità della testimonianza come assunzione del proprio desiderio e non certo a una cieca obbedienza: seguirlo, infatti, non è un’avventura superficiale ma un cammino volto a tenere lo sguardo su di lui e a posporre tanto l’amore per i legami familiari quanto quello per i beni materiali.

Nel brano evangelico, il primo ammonimento che Gesù rivolge alla folla è il seguente: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo” (Lc. 14, 26). È questo, forse, uno dei passaggi più provocatori del Vangelo di Luca che richiede, necessariamente, un approfondimento per essere compreso correttamente. Innanzitutto, il verbo “odiare” non deve essere inteso in senso letterale, ossia come un sentimento di disprezzo e/o inimicizia nei confronti della propria famiglia, poiché nel testo greco il verbo impiegato è “µισέω” (miseo) che vuol dire anche “posporre, mettere in secondo piano”. Gesù, in altre parole, chiede di saper distogliere lo sguardo da ciò che gelosamente custodiamo, come i legami familiari, per affidarli totalmente a Lui, rendendoli liberi da ogni forma di protagonismo, per trasformarli in relazioni autentiche, scevre da ogni egoismo.

Il versetto “Chi non porta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo” (Lc. 14, 27) esprime in modo molto forte il cuore della sequela cristiana. La croce, nell’immaginario degli ascoltatori dell’epoca di Gesù, non era certamente un simbolo religioso, ma lo strumento di morte più crudele e vergognoso riservato ai criminali e agli schiavi.

Invitare a “portare la propria croce” significa accogliere un cammino intriso, il più delle volte, di rinunce, difficoltà e incomprensioni, per diventare noi stessi porta attraverso la quale Gesù ha la possibilità di convertire la nostra vita in una più viva, ricca e generativa. In questo modo, la croce diviene l’occasione per una trasformazione affermativa della vita stessa oltre la morte e l’angoscia.

Infine, l’inciso “e non viene dietro di me” non è un invito al sacrificio di se stessi quanto piuttosto il compimento di un atto d’amore libero e consapevole che si manifesta nel seguire i suoi passi, riconoscendone l’eredità e permettendo alla sua grazia di realizzare ciò che da soli non riusciremmo in alcun modo ad operare.

Il brano culmina con il tema dei beni materiali: è sempre difficile rinunciare a divinizzare le cose che, solo apparentemente, ci rendono felici, impedendoci di seguire Cristo e di rimanere aperti alla logica dell’amore libero e gratuito. Dal punto di vista spirituale, questa richiesta è strettamente legata alla sequela: o Gesù è al primo posto, o il discepolato diventa solo un’apparenza. Non si tratta di disprezzare né i beni, né le relazioni né, tantomeno, di rifiutare le responsabilità quotidiane, ma di imparare a viverle senza attaccamento, per poter così amare veramente e servire senza cercare il proprio tornaconto.

Il cristiano è chiamato a lottare, ogni giorno, con l’idolatria, consapevole che quando Dio non ha il primo posto qualche trappola lo attende per fargli, prima o poi, del male.

L’invito, dunque, è a una chiamata radicale che non si realizza in un istante, ma in un cammino costellato da scelte di distacco e di fiducia.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *