
Meditiamo sulla Parola – Esaltazione della Santa Croce
Questa domenica si celebra l’esaltazione della Santa Croce.
È una festa liturgica che l’Oriente vive con una solennità paragonabile alla Pasqua.
Cosa può esserci di esaltante in uno strumento di esecuzione come la crocifissione?
Il condannato appeso al patibolo è un monito per la popolazione. Lo si dichiara maledetto dal cielo e rigettato dalla terra.
Nei Vangeli sinottici (Mt – Mc -Lc) c’è la croce con la sua follia: un Messia che termina la sua vicenda in quel modo è scandalo per il popolo. L’apostolo Paolo parla di stoltezza della croce.
Per l’evangelista Giovanni c’è invece una nuova comprensione della vicenda del Signore.
Gloria e presenza del Padre, che attesta la vocazione e la missione del Figlio, sono nella passione.
Nella morte di Cristo sulla croce, non siamo posti davanti all’abbassamento più profondo ma al suo innalzamento. La resurrezione di Gesù manifesterà con chiarezza la sua identità di Figlio di Dio, di Messia crocifisso ma resuscitato dal Padre.
La croce va letta e accolta nella sua realtà scandalosa e folle, senza evasioni; nella sua pesantezza, nella sua durezza che conosciamo in tanti corpi di nostri fratelli e sorelle, malati, sofferenti, torturati, perseguitati, corpi affamati e morenti per causa di guerre, corpi handicappati, segnati da malattie fisiche e mentali.
Il nostro Dio condivide in suo Figlio Gesù, uomo “nato da donna” (Gal 4,4), carne fragile e mortale (cf. Gv 1,14) come noi, questa passione, questo patire umano, sempre presente nella storia. Quando vediamo una persona sofferente, morente, tormentata dal male (e ognuno pensi a questa presenza anche nella propria famiglia, negli amici!), vediamo la passione della umanità di Cristo, e dobbiamo, in un cammino faticoso, di lotta e anche lungo, giungere a vedere la nostra croce da accogliere.
Ma attenzione: la croce è forse resa alla sofferenza, alla malattia, alla morte in sé? No! Perché Dio non vuole il dolore, il patire, la morte. Il Signore desidera che noi lottiamo per la salute, la vita, la relazione. Essa è il «luogo in cui ha mostrato la gloria del suo amore, ma a caro prezzo della passione e morte del Figlio amato». Noi che ci professiamo discepoli dobbiamo riconoscere che la croce l’abbiamo ben inquadrata nella cornice della sapienza umana con parole anche sublimi.
È attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore.
Pende dal nostro collo come gioiello ornamentale, ma non pende sulle nostre scelte.
Le rivolgiamo inchini, la portiamo in processione, la incensiamo, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica. Con abilità l’abbiamo isolata, sia pure con tutti i riguardi che merita.
Chi ama Cristo non ostenta simboli né sapienza, non vocifera il suo nome ad alta voce, non brandisce il crocifisso con arroganza né fa crociate verso il mondo ma pronuncia il suo nome con la vita. Questo è il segno con cui saremo riconosciuti dal Signore. (Ap. 7,3s).